Il busto di Nefertiti, Neues Museum, Berlino
Con l’apertura del Grand Egyptian Museum di Giza, l’Egitto rilancia una delle richieste di restituzione più simboliche e controverse del dibattito museale internazionale: quella del busto di Nefertiti, conservato dal 1912 in Germania e oggi esposto come capolavoro assoluto del Neues Museum di Berlino. A raccontarlo è un recente articolo del Washington Post, che intreccia la storia del reperto al nuovo scenario generato da un museo-monumento costato milioni e pensato proprio per ridefinire il ruolo dell’Egitto nel panorama culturale globale. L’archeologa Monica Hanna e l’egittologo Zahi Hawass stanno portando avanti in quest’ottica due campagne distinte, ma che puntano entrambe a una restituzione del bene al proprio Paese d’origine.
Il busto, risalente circa al 1351-1334 a.C., rappresenta uno degli artefatti egizi più famosi fra quelli custoditi al di fuori dell’Egitto. Zahi Hawass, celebre egittologo e già ministro delle Antichità egiziane, continua da anni a farsi portavoce della necessità di un ritorno in patria di beni culturali del Paese, ora più che mai vista la presenza di un museo che possa garantire un’adeguata conservazione e fruizione dei reperti: «Non si può dire che l’Egitto non sia in grado di proteggere i suoi reperti», ha dichiarato Hawass al Post. «Non esiste un museo che possa vantare la qualità espositiva del Grand Museum». L’ex ministro ha affermato che la sua petizione per il busto di Nefertiti ha raccolto al momento più di 200.000 firme e spera di raggiungere il milione.
La direttrice del Museo Egizio di Berlino, Friederike Seyfried, che sovrintende alla collezione che include il busto di Nefertiti sotto l’egida della Fondazione Prussiana per il Patrimonio Culturale, ha affermato in tutta risposta che la qualità del nuovo museo appare del tutto irrilevante, e che la sua istituzione non è disposta a far correre a un oggetto così prezioso e delicato un rischio tanto ingente: «Il problema è il trasporto».
Il punto, però, non è solo la restituzione di un’opera iconica ma ciò che essa potrebbe rappresentare. Il nuovo museo – di oltre 486mila metri quadrati, un progetto atteso per decenni – viene presentato come la risposta a una delle obiezioni storicamente avanzate dai musei europei: l’incapacità dei Paesi d’origine di garantire condizioni adeguate di conservazione ed esposizione. Un argomento che oggi appare sempre più fragile, anche alla luce delle recenti falle nella sicurezza di alcune grandi istituzioni occidentali (si pensi all’ultimo e più emblematico caso, quello del Louvre).
Nel caso di Nefertiti, la Germania continua a sostenere la legittimità giuridica dell’acquisizione avvenuta nel quadro delle leggi coloniali britanniche dell’epoca, secondo cui gli archeologi avrebbero dovuto dividere equamente i propri ritrovamenti con l’Egitto. Durante l’attività di scavo nel sito di Tell el-Amarna, l’archeologo tedesco Ludwig Borchardt scoprì il busto e lo conservò durante la divisione del bottino: i sostenitori del rimpatrio affermano che ne nascose l’effettivo valore all’amministratore delle antichità francese incaricato di far rispettare l’accordo. «Il busto è arrivato in Germania legalmente, ovvero in conformità con le leggi dell’epoca», ha affermato Sebastian Conrad, storico tedesco e autore di un libro sul busto di Nefertiti.
Ma è proprio qui che il dibattito si sposta dal piano legale a quello etico e politico: quanto sono moralmente difendibili norme nate in un contesto ritenuto dalla società odierna oggettivamente controverso? E chi ha oggi l’autorità di stabilirlo?
L’apertura di un “super museo” come quello di Giza non è pertanto un semplice fatto culturale: si tratta – anche – di un atto di posizionamento geopolitico, di un messaggio rivolto alle ex potenze coloniali e alla comunità internazionale. In questo senso, il caso egiziano dialoga con altri precedenti emblematici: il Museo dell’Acropoli di Atene e la mancata restituzione dei Marmi del Partenone da parte del Bristh Museum, da un lato, e le recenti restituzioni di opere e reperti – dai Bronzi del Benin ai manufatti rientrati nei Musei Vaticani – dall’altro. Si tratta di elementi che, sommati insieme nelle loro dinamiche scatenanti e nei loro effetti, stanno lentamente ridefinendo le politiche di proprietà e circolazione del patrimonio. Questi processi non segnano certamente la fine dei grandi musei universali ma ne mettono in discussione il ruolo esclusivo di custodi della storia globale. I musei diventano attori politici a pieno titolo, luoghi in cui si negoziano identità e memorie, ma si mettono anche in discussione i rapporti di forza.
Il momento storico in cui si colloca questa ulteriore richiesta di restituzione non è quindi cruciale soltanto per il destino del singolo capolavoro ma per il mutamento del contesto in cui la richiesta stessa viene avanzata. Probabilmente lunga e tutt’altro che scontata, la battaglia per Nefertiti sottolinea come il patrimonio non sia mai neutro e che, oggi più che mai, l’apertura di un museo può avere un peso che incide sugli equilibri diplomatici e ridefinisce le relazioni tra istituzioni e Stati.
Da Heritage Auctions, la raccolta composta da "La Compagnia dell'Anello", "Le Due Torri" e "Il Ritorno del Re" ha raggiunto un nuovo traguardo…
Al Circolo Sannitico di Campobasso, nell’ambito del festival Welcome Home, un progetto espositivo di Mino Pasqualone ridà voce ai ricordi…
Edito da Postmedia Books e dedicato alle donne che hanno lavorato con il tema e con il medium della luce,…
Allo Studio Trisorio di Napoli, Umberto Manzo rilegge i suoi archivi della memoria tra incisioni, stratificazioni e riferimenti al mondo…
La coreografa e danzatrice Michela Lucenti mette in scena, con il suo teatrodanza, la Giocasta di Euripide: una tragedia che…
È in programma per il 31 dicembre, a Poncarale, l’inaugurazione del magnifico incontro tra il laboratorio di Giuliana Geronazzo e Giacomo…