Pedro Cabrita Reis, alla sua terza partecipazione alla Biennale di Venezia (dopo quella del ’95, insieme R. Chafes e J.P. Croft, e quella del ’97 da “solista”, entrambe nel padiglione portoghese), è presente in questa edizione con due installazioni: alla Giudecca, per il padiglione nazionale, e ai Giardini, nell’ambito di Interludi.
L’artista portoghese, che nelle parole dei commissari João Fernandes e Vicente Todoli è uno degli artisti più singolari nel contesto della rinnovata scultura contemporanea, lavora, appunto, intorno ad una visione della scultura come intervento concreto sullo spazio, un’azione tanto fisica quanto intellettuale. Le sue opere sono sculture-installazioni si rivolgono allo spettatore con l’invito dichiarato all’interazione, alla meditazione e all’invenzione di nuove prospettive.
Nel silenzio e nella frescura (inaspettati e graditissimi entrambi) dei Granai, il visitatore incontra uno spazio alterato e suscettibile di qualsiasi trasformazione. Longer journeys (Viaggi più lunghi), già realizzato in patria en plein air è stato concepito da Cabrita Reis espressamente per lo spazio che lo avrebbe ospitato alla Biennale. Unico intervento in situ è una mano di vernice bianca distribuita sommariamente su tutta la struttura. Un assemblaggio di materiali “quasi poveri”, o comunque ordinari, dal legno all’alluminio ai tubi di luce neon, compone un telaio a due piani, una sequenza di ingressi e uscite percorribili senza ordine in tutte le direzioni. Longer journeys è una scultura “attraverso” lo spazio, chi la visita, o la “attraversa”, deve fare i conti con la nozione tradizionale di abitabilità. Le strisce di luce fredda si proiettano verso il vuoto suggerendo la presenza di altri vani e di altri luoghi, proprio là dove non è indicata, in base alle correnti abitudini, la possibilità di percorsi.
Cabrita Reis lega, quindi, la tradizione (quella della scultura come presenza fisica,
In territori analoghi si trova Absents names, in linea con la sua produzione artistica (anche se nel risultato l’opera è meno convincente e rivela, forse, un po’ di autocompiacimento). Una specie di “sala dei passi perduti”, un intervallo vero e proprio che isola lo spettatore dalla corrente di informazioni che lo avvolge e lo riduce al silenzio, ad una rivisitazione necessaria delle rassicuranti convinzioni che definiscono il mondo circostante. Un’assenza di riferimento che porta lo sguardo interiore sugli oggetti, sulle cose, e sui loro nomi.
link correlati
Pedro Cabrita Reis
pietro gaglianò
visto il 14 luglio 2003
È stata questa la frase, pronunciata dalla madre dell’artista che ha ispirato il percorso della mostra Disintegrata, in corso alla…
Da Hernan Bas a Nari Ward. Ecco gli artisti internazionali che occupano gli spazi in Via della Spiga, in occasione…
Torino a tutta fotografia con il nuovo festival Exposed e la fiera The Phair, gli appuntamenti da non perdere con…
Al Nitsch Museum di Mistelbach, in Austria, una mostra ripercorre i 30 anni di inquieta sperimentazione dell’artista palermitano Andrea Cusumano,…
Palazzo dei Diamanti di Ferrara espone fino al 21 luglio 2024 uno degli artisti più scientifici e illusionisti di sempre:…
La mostra di SuoloCollettivo vince il Premio Max Sprafico al Circuito OFF di Fotografia Europea, per l'interpretazione del concept dell'edizione…