A Venezia, in tempo di Biennale, con i padiglioni che rimandano la luce colorata dei video, le foto patinate e le chiassose performance, esiste un luogo di grande tranquillità, bianco e quasi irreale, lontano dalle luci del jet set internazionale.
Si trova in una piccola corte quasi nascosta, vicino a calle del teatro, in un palazzo signorile che nel ‘500 fu residenza del duca Sforza e nel quale la Galleria Cà del Duca ospita il Padiglione del Lussemburgo con un’unica protagonista: Doris Drescher.
Il progetto presentato dalla Drescher, come suggerisce lo stesso titolo, “casa mia”, è la ricreazione di un vero e proprio microcosmo, quello dell’artista certo, ma che appartiene anche a coloro che riescono a penetrarvi, percependolo quasi empaticamente e a farlo proprio.
La casa di Doris è un luogo fatto di mobili (bianchi e minimali), di oggetti (quasi delle miniature) di vestiti, di parole e segni. E’ una sorta di spazio mentale, la proiezione dell’animo dell’artista che si rivela attraverso piccole scritte sottilissime in italiano e francese, che accompagnano una minuscola rosa-carillon di velluto, un pezzetto di pasta di sale, un rocchetto di filo colorato. Un ambiente, quello di Doris, che vorrebbe essere accogliente, con tutte le sue raffinate delicatezze, e lo è certo, ma non fino in fondo.
Sì, a casa di Doris ci sentiamo tutti un po’ voyeur e percepiamo, a tratti quasi un sussurro, il senso di profonda fragilità dell’artista, che si mette a nudo per noi. I suoi disegni alle pareti, quasi invisibili tanto la punta della matita è sottile e il tratto impalpabile, con quelle frasi sibilline e quelle figure appena accennate ma che alludono a qualcosa di forte e di profondo; l’assoluta cura con cui sono disposti i particolari, l’obiettivo della telecamera che indugia sul gatto che gioca con gli zampilli d’acqua nella doccia e la tenda che scherma le finestre e pone un velo tra l’interno e l’esterno, fatta di sottili e quasi trasparenti fazzolettini di carta.
Da quella casa si esce con una sorta di sapore agrodolce in bocca, felici per ciò che si è visto, un po’ sconcertati per ciò che sembra racchiudere.
Mi hanno detto che pochi giorni fa all’esterno della Cà del Duca era appeso un piccolo ma eloquente cartello: “l’artista è triste perché alcuni suoi oggetti sono stati sottratti. La casa di Doris pertanto rimane chiusa.”. Nel caso in cui dovesse riaprire, affrettatevi ad entrare.
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