Esistono diverse opere di Symons sparse per l’Olanda, ma anche in Cina, a Taiwan e altrove: sono sculture fatte in diversi materiali tra i quali l’artista ultimamente predilige quello leggero e specchiante dell’alluminio. Le opere presentate alla mostra sono invece di carattere diverso, in quanto video-installazioni, ma guardandole e cercando di catturarne la natura s’intuisce che la problematica ivi sottesa è la stessa che presiede alla creazione di una scultura: riguarda la vastità ed il respiro dello spazio ambientale e il rapporto con l’oggetto in esso immerso. A questa misura di distanze e di equilibri, il video aggiunge l’elemento temporale, calando l’opera nella vita e nella storia. E’ il gesto dell’uomo ad essere posto al centro, ad essere misurato dall’artista, nella sua imperfezione e capacità di distruzione e di sovvertimento di fragili equilibri umani. Misurando distanze ed intervalli, Symons misura l’uomo. Invita così lo spettatore a fare altrettanto, non più attraverso una diretta esperienza sensibile e contemplativa, ma richiedendo una riflessione e un’adesione umana alla sua operazione. Rende immediatamente espliciti i luoghi ripresi dai suoi video attraverso le fotografie dell’insieme: nella mostra si tratta di spazi di forte impatto visivo ed emozionale, pregni di significati storici e politici scottanti quali il Bosforo e un ponte distrutto in Croazia.
Ma l’artista non narra, riflette e ribadisce la sua posizione col loop, la ripetizione identica della visione d’una problematica. Lo spettatore quindi può o meno aderire, mettersi gli occhiali del fantoccio in tuta, e guardare attraverso gli occhi dell’artista.
Colpisce una frase di Jerome: “Ho fatto un video intitolato Libano, girato durante le ultime elezioni in quel paese e mi aveva colpito la totale trasformazione urbana tappezzata da cartelloni con le facce dei politici, lo spazio ne risultava completamente sovvertito”. Ha poi continuato: “Sì, mi piacerebbe girare dei film”, gli ho chiesto “Nel modo semplice e apparentemente naif di Dogma?” –“Sì, se potessi”.
Per ora Jerome riflette sui massimi sistemi attraverso spazi affascinanti per ampiezza e portata simbolica. In Focus l’immagine della terra del Bosforo è sdoppiata durante la ripresa da una barca con uno specchio, cosicché la medesima terra sembra spezzata e alla continua, altalenante ricerca di rincollarsi in un unico corpo, mentre l’acqua appare divergere in opposte correnti.
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Carmen Lorenzetti
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errata corrige:
i titoli delle opere di Jerome Symons sono "Fault" e "Defining moments" e non "Focus" e "Forma mentis" (che sono invece i titoli dei miei due testi critici - cfr: catalogo della mostra).
Grazie.
alberto zanchetta