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fino al 20.XI.2004 | Far East | Bologna, Agenzia 04

di - 14 Ottobre 2004

Le proposte artistiche dell’Oriente, sempre più capaci di incontrare il favore del mondo occidentale, hanno trovato la loro consacrazione nella recenti biennali veneziane di Harald Szeeman, nel capoluogo emiliano con Officina Asia, allestita presso la Galleria d’Arte moderna a cura di Renato Barilli in collaborazione con Francesca Jordan, Tang Di, Mikiko Kikuta e Kim Airyung.
Una moda certo, ma non solo. I risultati raggiunti da tanta arte creata a dodici ore di fuso orario da noi sono di tutto rilievo. Anche se solo una semplificazione culturale potrà avvicinare le culture di paesi così diversi, per non dire in pieno contrasto come nel caso di Cina e Giappone, va comunque considerato che proprio il linguaggio dell’arte contemporanea sfida ogni localismo per tradursi in un esperanto mediale.
Se Corea e Giappone possono già vantare una maggiore consuetudine con il sistema dell’arte d’occidente, la Cina –vera superpotenza emergente- è invece alle prese con un’ennesima rivoluzione estetica, in bilico tra un’idea di bellezza intesa come fedeltà ad un modello incorrotto e la ricerca di forme nuove. Ricalcando l’inesausto bisogno di rinnovamento poetico, intima essenza dell’arte nostrana.

Le due artiste in mostra, Yumi Karasumaru e Yu Hirai, entrambe giapponesi, vivono da anni nel vecchio continente. Yumi Karasumaru, nata ad Osaka, ha studiato a Kyoto, presso l’University of Fine Arts quindi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, città dove attualmente vive. Le sue opere sono un reportage pittorico sulle nuove generazioni delle nippo-metropoli. L’ibrido adolescenziale ne è il soggetto centrale, ma la superficie pittorica mutua i colori urlati della gioventù tele-dipendente e cellularizzata in opache immagini dal sapore sbiadito. Si consuma in queste ‘istantanee’ la celebrazione di un fenomeno curioso, che rende i teen-ager di ogni latitudine una grande popolazione meticcia, unita sotto il credo della pop music.
Lo stile dell’artista è il frutto del secondo terremoto che ha investito la storia della pittura. Dopo l’invenzione della fotografia è oggi la manipolazione digitale dell’immagine il filtro attraverso cui passa ogni fenomeno. La photoshop revolution ha fortemente condizionato non solo il nostro rapporto con le immagini, ma il metodo stesso della loro creazione.

Yu Hirai
, una vera globe trotter della formazione artistica, si sposta un po’ ovunque. Dal 1985 al 1989 vive in Belgio, dove frequenta l’Ecole Supérieure de Beaux Arts La Cambre di Bruxelles; dal 1990 al 1993 si trasferisce a Barcellona; dal 1994 al 1999 a Berlino dove inizia ad occuparsi di fotografia; dal 2000 al 2001 a Dublino fino al 2002, anno in cui si ferma a Parigi.
Presenta un ciclo di fotografie dal forte impatto visivo, che a dispetto delle apparenze sono ottenute esclusivamente nel tramite delle potenzialità meccaniche della camera oscura. Si stenta a credere che la macchina fotografica sia ancora in grado di generare queste illusioni, superando la semplice registrazione percettiva della realtà.
I suoi scatti giocano sulla dialettica interno – esterno (letto anche in termini di intimità – esteriorità), dove l’alterazione cromatica si fa veicolo di questo contrasto. Gli oggetti provenienti dal mondo interiore sono fortemente illuminati di un rosso acceso, mentre gli esterni parigini sono di un blu profondo, occidentale (nella sua accezione etimologica) tipico del colore del cielo al volger del sole.
Nell’uso ambiguo dei rispettivi mezzi espressivi, fra tradizione compositiva ed innovazione immaginifica, le due artiste sembrano vivere in un equilibrio perfetto Nel lontano Oriente pittura e fotografia, arti troppo spesso considerate al capolinea, trovano proprio nella creatività inaspettate possibilità d’espressione.

<A href="mailto:s.questioli@exibart.comstefano questioli
mostra visitata il 24 settembre 2004


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