Venticinque opere dal 1986 ad oggi compongono la personale antologica di Piero Pizzi Cannella (Rocca di Papa, Roma, 1955) alla galleria ravennate di Patrizia Poggi. La mostra cade nel trentennio dell’attività dell’artista e tra tele, tavole e carte si possono ritrovare tutti i cicli e i simboli della maturità del pittore: dagli abiti alle mappe, dai gioielli ai paesaggi notturni, dalle sedie all’ultimo soggetto prediletto delle cattedrali. Storicamente lo si collega, insieme a Nunzio, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Bruno Cecobelli, Marco Tirelli e altri, alla Scuola di San Lorenzo, dal quartiere romano dove questi artisti si ritrovarono a spartire il noto ex pastificio al numero 3 di via degli Ausoni.
I disegni e i dipinti di Pizzi Cannella risultano densi e nervosi, frettolosi, concentrati intorno a un soggetto ripetuto infinite volte e mai completamente compiuto. Per definirli con un aggettivo che egli stesso utilizza spesso, sono delle opere urgenti. Di questo i visitatori della mostra possono rendersi conto attraverso il video che chiude il percorso espositivo, dal doppio titolo di Con chi parlo e La fabbrica dei pennelli. Si tratta di una quindicina di minuti suddivisi in quattro scene estrapolate dalla vita privata dell’artista e il cui filo conduttore è un apparecchio telefonico che squilla a ripetizione.
Parlando con vari personaggi anonimi racconta se stesso e nel frattempo disegna degli schizzi in modo veloce e assorto. Nel video, che è di fatto un autoritratto, si descrive come un personaggio schivo, amante dell’arte e degli artisti. Dice che vorrebbe visitare altri luoghi come i ghiacci polari, ma che non lo farà mai perché il mondo preferisce ricostruirselo nel suo studio e, infine, si paragona a un orologio fermo, consolandosi del fatto che in questo modo almeno due volte al giorno segna l’ora esatta. Accenna, infine, a quello che è e che è stato il tema di collegamento di tutta la sua attività: la memoria. I simboli che compongono il suo dizionario pittorico richiamano, in effetti, a briciole di storie passate e dimenticate, di cui Pizzi Cannella riporta dei brandelli non per ricordare, ma solo per testimoniare quello che ancora ne rimane. “Dipingo a memoria, ma non personale, collettiva.” dice “Quello che resta della memoria collettiva. O forse si tratta dell’imitazione della memoria”.
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carolina lio
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