È privilegio dell’arte riuscire a far prendere sul serio le proprie fantasie e sapersela cavare con gli strumenti della finzione, permettendo di costruire, seguendo un metodo “fai da te”, qualsiasi mondo. Gli artisti mostrano, in questo, maestria e, credenti o non credenti, fanno sì che questi loro mondi esistano.
Se le meraviglie, le minacciose forze della natura, non si possono circoscrivere né possedere, si possono però ricostruire in studio e fotografare, come fa Sonja Braas (Germania), dando l’illusione di toccarle e dominarle. D’altro canto si può immaginare di portare il cielo e la natura in una stanza, sogno che diviene realtà digitale per opera di Seoung-won Won (Corea), la quale, con la semplicità propria di un’artistica ingenuità, fa della sua cucina una giungla, di una stanza da letto l’indomabile oceano.
Dalle catastrofi naturali, si sa, non ci si protegge, nemmeno se ci si ritira in un bozzolo: la bolognese Sissi sospende il giudizio sul mondo attraverso la metafora di una nascita mancata; i suoi bozzoli diventano bandiere che azzerano l’orgoglio identitario. Si ha l’impressione di un disorientamento psicologico, osservando l’immane tentativo di raddrizzare l’orizzonte nei video di Julia Oschatz (Germania), che si presenta, travestendosi, con testa animale. Peccato manifestarsi. Eppure lo fa in maniera estremamente disinvolta l’argentina Flavia da Rin,con autoritratti-maschere sempre diversi, davanti a sfondi naturali: volutamente -e con compiacimento- ci accompagna dall’esterno all’interno dei suoi grandi occhi per poi lasciarci lì, smarriti.
È l’intuizione che la spiritualità si misura in base al grado di distacco dal mondo?
La progressione iperbolica di sottili e calcolate crudeltà virtuali prende il sopravvento nelle animazioni di Yves Netzhammer (Svizzera), in cui il mondo si riassume in un’anonima, bionica umanità.
Salta all’occhio l’animalità del gesto di cibarsi d’arte nella food art di Sonja Alhäuser (Germania), metafora di mondofagia. Colori quasi accecanti, forme sinuose proprie dell’organico, dipinti ad hoc per lo spazio modenese, dal rumeno Miron Smückle: messe a raffronto le viscere della natura e quelle dell’uomo non sono poi così diverse, come non lo è l’origine della differenziazione dei sessi. Queste pitture, dense di ammiccamenti, lasciano intuire per non esplicitare l’universo dell’interiorità.
Tutto è possibile nel mondo dell’artista. Perfino troppo.
antonella tricoli
mostra visitata il 21 ottobre 2006
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