Nella mostra curata da Susan Davidson si attraversano gli oltre 50 di attività creativa del compagno di viaggio di Warhol, Lichtenstein, Jasper Johns e protagonista della stagione Pop. Robert Rauschenberg rivoluziona il concetto di Arte, abolendo la sacralità dell’opera e dell’autore affermando: “mi piace pensare all’artista come una sorta di altro materiale che interviene nel dipinto” senza alcuna pretesa gerarchica.
Tutto inizia con i suoi White paintings, pannelli bianchi, campiture vuote sensibili alle variazioni di luce dell’ambiente delle quali il musicista John Cage, amico e mentore del pittore, e, al pari di lui, amante di Duchamp, lodava, nel “nulla”, la possibilità di infinite aperture. “La pittura” –ci dice Rauschenberg- “è in rapporto sia con l’arte che con la vita… io tento di operare nello spazio che c’è tra le due”.
La visione d’insieme dell’esposizione ferrarese è un’esplosione di vitalismo non imbrigliato dal voler trasmettere messaggi: “lo spettatore uccide un quadro nel tentativo di coglierne il significato” avverte l’autore. Nei suoi Combines della metà degli anni ’50 cancella la distinzione dell’arte in generi: inserisce materiali e oggetti presi dalla vita di tutti i giorni, animali impagliati, copertoni, biciclette, scope, ombrelli sulla tela, insieme a stesure aggressive di colore mutuate dall’Action Painting, in una “combin-azione” di pittura e scultura come di arte e vita. Ai Combines seguono negli anni ’60 le litografie e i dipinti serigrafici, con foto prese da riviste e giornali, come in Retroactive I del 1963 dove l’astronauta Armstrong appare insieme a J.F. Kennedy (al quale il pittore aveva spedito un suo lavoro in regalo poco prima che fosse ucciso).
Con inesausta curiosità lavora per serie, sperimenta tecniche (assemblge, collage, trasfer, fusioni in bronzo, oro e argento) e materiali, esplora le possibilità artistiche delle stoffe nella serie Hoarfrosts, con immagini che sembrano viste come in
trasparenza da vetri pieni di brina ghiacciata, del cartone nei Cardboards, unisce spezie alle sue opere che divengono oltre che visive e tattili anche olfattive. Dagli anni ’80 studia le possibilità cromatiche dei metalli e gli effetti dell’ossidazione e della corrosione nelle serie Glut, Urban Bourbon, Borealis e Night Shades. Avvicina frammenti visivi di storie in Short Stories, Apogamy Pods e Scenarios, densi di riferimenti autobiografici, sociali, culturali.
Lo sguardo è chiamato a focalizzarsi progressivamente su dettagli diversi “soffermatevi, vagate dove la mente vi porta” invita l’autore “muovetevi senza paura con amore” attraverso figur-azioni che non danno indicazioni per percorsi obbligati, ma espandono la realtà dello spettatore che vi riflette vita e sogni personali “gli autori siete voi” ribadisce Bob.
Con l’amico Cy Twombly è a Roma nel 1952, la sua passione per il viaggio lo porta in Malesia, India, Messico, Cuba, Israele, Venezuela, Cile, Tibet, Cina, Giappone; scatta miriadi di foto che utilizza poi nei suoi lavori. Affascinato dagli affreschi pompeiani spinge la tecnica classica dell’affresco a comporre un vocabolario contemporaneo nella serie Arcadian Retreat degli anni ’90. Il labirinto A Quake in Paradise, allestito nel giardino di Palazzo dei Diamanti, invita ad aggirarsi all’interno del terremoto visivo dei 29 pannelli di alluminio anodizzato trattato a specchio con sciabolate di colore e immagini serigrafate.
Dal 1970 Rauschenberg vive e lavora a Captiva, isola della Florida che gli ricorda Port Arthur, città del Texas dove nacque nel 1925 da madre cherokee e padre tedesco. Non accetta limiti né riconosce frontiere, fondatore del ROCI (Rauschenberg Overseas Culture Interchange) promuove la pace nel mondo attraverso l’arte e lo scambio culturale tra le nazioni, firma scenografie cercando nelle discariche materiali di scarto, continua instancabile a esprimere la sua coscienza politica, sociale e ambientale. Quando gli domandiamo il significato di fare arte, serafico rivela l’ineluttabilità del suo destino d’ artista: “I didn’t have a choice!”.
myriam zerbi
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