Nella luminosità della parola, si apre la nuova mostra sulla scultura nella collezione Guggenheim al Foro Boario di Modena. Una frase metaforica, creata appositamente per l’evento da Maurizio Nannucci, si staglia su una parete bianca e luminosa, ammonendo chi entra: “changing place, changing time, changing thoughts, changing future”. La mostra che segue parla proprio del cambiamento del tempo, dei pensieri, dei luoghi, del futuro visto in prospettiva, dal passato e dal presente.
Si comincia con la figura umana e con quella animale. Rodin e Degas si fronteggiano in uno spazio creato apposta per loro, un inevitabile accenno per spiegare ciò che segue: la Testa di Modigliani, sorta per mano dello scultore da quella stessa “materia umana” che seppe mirabilmente traghettare dall’ottocento al novecento. Intorno a lei la trasformazione del corpo in una serie di sculture disposte ad arcipelago su basi di diverse altezze: Moore, Cesar, Giacometti, Richier. Di fronte, una seconda entrata, quella del bestiario, sorvegliata dai due “leoni urlanti” di Mirko. Al centro dello spazio campeggia la Maiastra dorata di Brancusi che veglia sulle altre creature: Il coniglio di Louise Bourgeois, Il cane cinese di Edoardo Paolozzi. L’ambiente cambia colore ogni quindici minuti, tingendosi di un purpureo sanguigneo, quando si accende la luce rossa della serie di Fibonacci trascinata dal Coccodrillo del Niger di Mario
Uscendo da questo spazio si accede alla seconda isola tematica: “Le avanguardie: la ricerca astratta”. La modernità emerge dalle ombre riflesse dei mobil di Calder, e dalla forma duale con aste cromate di Lászlo Moholy– Nagy, dall’alternanza di pieni e vuoti di Pevsner e Nivola dalle figure astratte di Jan Arp e dalle compressioni di César. Una parentesi si apre per includere, in uno spazio leggermente separato, due grandi geni uno di fronte all’altro: Josep Cornell con Il pappagallo che predice il futuro e Marcel Duchamp con la Boîte en valise numero uno, autografata, esposta aperta con tutte le 68 miniature contenute.
Da qui in poi la terza e ultima isola tematica, quella del presente futuro, quella del luogo e del pensiero che cambiano: “Verso l’antiscultura: il contemporaneo”. Nell’ultima parte dell’esposizione le sculture perdono le basi, non hanno più piedistalli, si presentano nello spazio da sole, disposte seguendo la natura della loro forma. Le sculture si trasformano in domande. La questione ontologica che da sempre hanno celato, ora emergere e chiede: cos’è la scultura?
E’ in questo punto che possiamo inciampare nel Quinto triodo in rame di Carl Andre, assaggiare il tappeto di caramelle di Gonzalez – Torres, ascoltare il Soffio delle foglie di Giuseppe Penone.
Cos’è la scultura? La Testa di Modigliani e la croce di neon di Dan Flavin, rappresentano in qualche modo i due poli contemporanei di questa domanda secolare. Aguste Rodin con il Busto monumentale di Victor Hugo e la Linea di ardesia di Richard Long, esemplificano il passato e il presente di quella stupefacente metamorfosi, formale e sostanziale, che ha vissuto la scultura nel ventesimo secolo.
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