Farinelli coreografia Alessandro Frola Ph Gianluca Galletti
Sono giovanissimi e già con un timbro di qualità, tecnica e interpretativa, che li distingue. Merito della loro formazione in seno alla scuola, sinonimo di professionalità e fucina di talenti, del Balletto di Parma, oggi una compagnia, fondata da Lucia Giuffrida e Francesco Frola i quali aprono al cimento creativo con coreografi già affermati o giovani emergenti. Tre i coreografi chiamati per la serata Disequilibri (a Modena, Teatro Michelangelo) che ha visto gli otto danzatori del Balletto di Parma sperimentare con i differenti stili dei tre giovani autori: Alessandro Frola, Roberto Doveri e Emma Zani, e Marco Marangio.
Alla sua prima prova autoriale, il danzatore Alessandro Frola, firmando lo spettacolo Farinelli, il conflitto dell’anima, ispirato alla vita del celebre cantante castrato – icona della musica barocca -, raccontato nel film di Gérard Corbiau, dà prova di un più che promettente estro nella composizione coreografica, mostrando padronanza di linguaggio espressivo e senso drammaturgico. Quei “segni” rivelano una chiara matrice, acquisiti inevitabilmente alla scuola di quel grande maestro qual è John Neumeier nella cui compagnia, l’Hamburg Ballet, il ventiquattrenne danzatore parmense è cresciuto negli ultimi anni danzando in molte creazioni di Neumeier e nei ruoli principali come primo ballerino (ha appena lasciato la compagnia, e da settembre si unirà al Wiener Staatsballet diretto da Alessandra Ferri).
Ed è così che Farinelli rifulge per la capacità di Frola di saper fondere le sue componenti drammaturgiche, coreografiche, musicali (l’universo barocco), facendole risuonare l’uno nell’altro con una imprescindibile corrispondenza espressiva ed emozionale. Nell’intreccio relazionale dei sei personaggi in scena (Antonio Bresolin, Lisa Malaguti, Andrea Cheldi, Zarah Frola, Ester Papini, Ginevra Lenti), Frola insegue una “verità” dei sentimenti che li legano, con al centro il conflitto umano e artistico del cantante lirico, diviso nel rapporto col fratello (il compositore Riccardo Broschi), la loro interazione con le donne, tra passioni, complicità e rivalità, desiderio e sacrificio, successo e fragilità. Essenziali costumi d’epoca, nobili fogge e mantelli, vestono la danza di duetti e terzetti, di amoreggiamenti a terra, di coppie specchianti e assoli sotto lo sguardo altrui. Una danza dinamica, poetica, carica di tensione, che nel duetto d’addio di Farinelli col fratello (i bravissimi Antonio Bresolin e Andrea Cheldi), tra gesti supplichevoli, avvinghiati, rabbiosi, diventa struggente.
Una gestualità minimalista, quotidiana, pulsante, quasi a ricercare il ritmo del cuore, vibra nei corpi di Zarah Frola e Andre Cheldi nel duetto Another day, dei coreografi toscani Roberto Doveri e Emma Zani di Yoy Performing Arts, la cui cifra stilistica, riconoscibile, ha il nitore del dettaglio. Il senso dell’attesa muove gli animi della coppia, nell’esplorazione di uno spazio che li divide, li allontana, li avvicina, li fa incontrare armonizzando a tratti le stesse movenze, le posture, gli sguardi. E avvince fortemente il contrasto e poi l’unisono di movimenti che hanno nelle braccia, nelle mani, nei visi, una scrittura eterea e concreta, intima e aperta. Oscillanti, lenti, scattanti, ieratici, rotolanti, vacillanti, sdraiati o in piedi, posizionandosi ai lati o al centro, camminando o fermi a terra, distinti o insieme, i due tessono un dialogo gestuale evocativo che ascolta, indica, scruta, attende qualcosa o qualcuno. Ed è l’emozionale paesaggio sonoro creato da Timoteo Carbone a evocare una spazialità che suggerisce una soglia, un confine della memoria e del tempo, da fermare e contemplare.
Marco Marangio, danzatore al Teatro Magdeburg in Germania, firma la coreografia Il mito di Orfeo, spalmandola, tra silenzi, decelerazioni sonore e distorsioni, sulla musica di Hans Zimmer. Marangio immagina il viaggio nell’Ade del mitico cantore, in lotta con figure nere dal volto coperto che frenano l’impeto della ricerca dell’amata Euridice. Costretti a non incrociarsi mai con lo sguardo, la coppia si insegue in una circolarità di movimento che amplifica il desiderio del contatto, del tormento, dell’amore irraggiungibile. È la corsa contro il tempo che scorre all’indietro e lascia solo il ricordo nell’abbraccio che svanisce, nel nero della cenere con la quale Euridice viene cosparsa e segnata, nel danzare a ritroso dandosi le spalle, nel lottare e arrendersi.
L’impronta teatrale di Marangio è ben stagliata negli snodi del racconto danzato, plasmato da un sapiente intreccio corale attorno ai ripetuti duetti e a momenti di assoli, che lasciano una scia immaginifica, infrangendo il confine tra illusione e realtà.
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