Il fatto è che un oggetto oltre alla funzionalità dovrebbe avere anche un pizzico di poesia. Così dicono –e la pensano- quelli di Büro für form, al secolo Costantin Wortmann, Benjamin Hopf, Alexander Aczél: studio di progettazione nato nel 1998, Monaco based. Ed in effetti, non fa una grinza: basta sfogliare qualcuna delle loro realizzazioni –che vanno dall’oggetto, al sistema di illuminazione, dall’interior all’industrial- per averne immediatamente la misura. Forme semplici, più di una memoria bauhaus e poi il fattore “inaspettato”, quella agognata componente poetico-surreale che quando funziona, se funziona, dà l’anima al design.
Un esempio da pescare in un passato non troppo lontano (2000) è la sedia Il crollo, prodotta da Kundalini, con le due gambe che si flettono pericolosamente e lo schienale sghembo: il resto –si fa per dire- è tutto ok e il candido colore non fa altro che enfatizzare l’assurdo, utilizzato qui puntualmente come metodo e come struttura. Assurdo che mutatis mutandis tornava pure in alcune precedenti realizzazioni, il pennello “da dita” Fingermax, che gli ha fruttato l’IF Design Award nel 2000, le
Altrove sono le forme organiche a farla da padrone, sempre e comunque scevre di qualsiasi orpello: la sedia Flight (2002, per Habitat), leggerissima, è pensata come un foglio di carta piegato, la serie Liquid Lamps (2001, per Next) riprende la forma naturale di una goccia allungata.
Interessante è uno degli ultimi progetti di Büro für form, un sistema di illuminazione modulare, basato su una semplice, ma assai convincente idea di aggregazione: Molecular_light. Un pezzo singolo, una sorta di sfera allungata bianca satinata, funziona come luce da tavolo o d’ambiente, può essere montato su un’apposita asta, come un lume, oppure lasciato a terra, tre o quattro assemblati danno vita ad un’infinità di soluzioni: dall’applique al lampadario. In nome di quella praticità un po’ teutonica che è da sempre imperativo del design, senza dimenticare il potere sottile dell’immaginazione, quello che agli oggetti dà un’altra vita. E che, nella migliore delle ipotesi, magari li traghetta nell’olimpo degli oggetti senza tempo.
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