Categorie: Mostre

Riscoprire l’avanguardia belga: Jef Verheyen al museo KMSKA di Anversa

di - 4 Maggio 2024

La prima sala che ospita la personale di Jef Verheyen Window on Infinity, al KMSKA (Royal Museum of Fine Arts) di Anversa, è la realizzazione di un desiderio. Verheyen aveva ripetutamente dichiarato di voler presentare la sua opera accanto alla Madonna del latte in trono con il Bambino di Jean Fouquet. E quel sogno è stato realizzato, due dipinti di Verheyen sono affiancati al capolavoro del maestro fiammingo, che è un dittico smembrato.

Dopo questo inizio mozzafiato la mostra procede in senso cronologico. Pur essendo stato uno dei protagonisti dell’avanguardia di Anversa negli anni ’50 e ’60, Verheyen è poco conosciuto in Belgio e nel resto del mondo. Grazie alla collaborazione con il museo M HKA, che ha digitalizzato e archiviato le sue opere, a 40 anni dalla morte è finalmente possibile conoscere il suo percorso artistico, presentato in dieci sale del museo. La mostra, visitabile fino al 18 agosto, raccoglie anche le opere di artisti che l’hanno influenzato come Paul Klee, Jozef Peeters, Lucio Fontana, Günther Uecker, e quelle di alcuni artisti contemporanei Ann Veronica Janssens, Kimsooja, Pieter Vermeersch, che come Verheyen indagano i confini della pittura e la rappresentazione della luce.

I frequenti viaggi a Milano lasciano un segno nelle opere di Verheyen che abbandona la rappresentazione astratta per indagare la pittura monocroma, come testimonia il dipinto Le Voile du Mystère (Il velo del mistero). La ricerca del vuoto e il monocromo diventa parte della sua pratica artistica. L’incontro con Lucio Fontana nel 1957 è stato fondamentale. Trova nel suo lavoro una sorta di modello per sviluppare lo spazio cosmico e la smaterializzazione della luce. La fitta corrispondenza dimostra il legame che c’era tra loro, che si interruppe solo con la morte dell’artista italo-argentino nel 1968. Verheyen strinse legami anche con Roberto Crippa, Yves Klein e Piero Manzoni.

“Per i suoi amici milanesi, Verheyen incarna lo spirito fiammingo, e questo incuriosisce Verheyen che non si sentiva tale, amava l’Oriente, il taoismo e praticava Judo” afferma il curatore della mostra Adriaan Gonnissen. E aggiunge, “Nonostante questo, o forse proprio per questo, fonda insieme a Englebert Van Anderlecht “La Nuova Scuola Fiamminga”, di cui viene redatto anche un manifesto programmatico firmato da una decina d’artisti. Grazie a loro Anversa diviene negli anni ’60, una sorta di hotspot dell’avanguardia internazionale, che dialoga anche con la rete internazionale del Gruppo Zero”.

Uno dei suoi interventi più concettuali è l’happening Vlaamse Landschappen (Paesaggi fiamminghi) realizzato con l’amico artista Günther Uecker nella campagna di Mullem nel 1967. Posizionano una grande finestra nel paesaggio per dirigere lo sguardo verso il cielo, come se fosse una finestra sull’infinito. L’intervento non si esaurisce con questa performance, Verheyen crea versioni di minori dimensioni dell’opera intitolati Le Vide (Il Vuoto) e Le Plein (Il Pieno), le risonanze con l’opera di Yves Klein sono indiscutibili, entrambi cercavano la smaterializzazione dell’arte, anche se i dipinti di Verheyen raggiungono toni spirituali, persino mistici. È difficile immaginare come riesca, utilizzando i pennelli, a dipingere quegli strati (semi)trasparenti di colore senza lasciare tracce di pennellate. Riesce a creare una sorta di movimento statico, che trova un’eco nei campi di colore dei dipinti di Mark Rothko.

Jef Verheyen met Le Vide, Collectie FOMU Antwerpen © SABAM Belgium 2024, foto Gerald Dauphin

Nel corso degli anni Sessanta sperimenta le forme primarie, introduce i dipinti rotondi. Nel 1979 cura la mostra ZERO Internationaal Antwerpen al KMSKA. Negli anni successivi il museo acquisisce diverse opere dei membri del movimento ZERO, oltre a quelle di Verheyen, Lucio Fontana e Günther Uecker. La pratica post-pictorica di Verheyen permette di sperimentare la vertigine del vuoto pur rimanendo ancorati al pianeta terra. All’inizio della sua carriera, nel manifesto Essentialism (1958-59), scrisse che ciò che cercava per sé e per il pubblico era una sensazione oltre la visione: una “caduta, un volo nello spazio”, e la bellissima mostra al KMSKA restituisce perfettamente questa vertigine.

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