Biennale scampata, per questa volta. Se ne parlerà – probabilmente – nel prossimo numero, quellodoppio che accorpa luglio e agosto; l’uscita di giugno attraversa – ad eccezione della Fornarina, sempre affascinante cover girl – l’arte dei primi vent’anni del ’900, quando sceglie di dialogare e confrontarsi con le sue sorelle: riecco le Avanguardie, da Kandinskij – che non disdegnava la danza – alla factory ante litteram Bauhaus alle prese con la musica, ai nostrani Futuristi che s’interessavano cronofotografia.
Nelle prime pagine un’incursione nell’atelier di Brancusi, a Parigi (dello scultore parla anche il dossier di questo mese, redatto da Gabriella di Milia): Gérard Georges Lemaire ne ripercorre l’odissea ed accenna una riflessione sull’attuale situazione degli allestimenti museali; al di là della polemica, c’è la constatazione malinconica di come certi architetti si rivelino – a conti fatti – nemici mortali dell’arte. Il caso dello studio di Brancusi – ricostruito parzialmente nel Palais de Tokyo nel 1962 e quindi riallestito quasi in forma di set (non è difficile convincersi che da un momento all’altro un attore nel ruolo di Brancusi faccia il suo ingresso, nota con amarezza Lemaire) all’interno del Centre Pompidou – è esemplare e grottesco, ridotto ad essere simile alle vetrine dei grandi magazzini per le feste di fine d’anno.
Interessante – anche per inquadrare storicamente gli ultimi sviluppi del teatro contemporaneo – la lettura che Fiorella Nicosia dedica ai rapporti tra Kandinsky e la danza: scenario è una Monaco di Baviera d’inizio secolo, quanto mai vitale, personaggio chiave Aleksandr Sacharoff, danzatore russo appassionato di pittura e di spettacoli di Sarah Bernhardt. Tra retaggi simbolisti e studi sull’Einfuhlung, la collaborazione si consuma in una manciata di anni: Kandinsky fornisce una serie di acquerelli, Sacharoff li traspone in danza: dopo il 1919 il ballerino girerà tra l’Europa, l’America e l’estremo Oriente, Kandinsky realizzerà l’opera sinestetica Il suono Giallo, primo passo verso l’utopia del Gesammtkunstwerke.
Tra gli altri articoli, una lettura iconologica di Silvia Malaguzzi confronta i gioielli dipinti da Raffaello nelle tele della Velata e della Fornarina: indizi preziosi (è proprio il caso di dirlo!) per stabilire identificare i due quadri come ritratti della stessa persona. E ancora, un viaggio ad Atene, alla scoperta del museo Benaki.
articoli correlati
la Fornarina restaurata
Gino Severini e la danza
Arteteatro, rubrica di Exibart dedicata alle nuove esperienze on stage
mariacristina bastante
Copie in altissima definizione di importanti opere d’arte, realizzate dai musei con Save the Artistic Heritage, promettono di risolvere il…
La residenza romana di FWAD promossa da SALAD San Lorenzo Art District si è conclusa con una mostra che ha…
Alla National Gallery of Iceland di Reykjavik, Björk presenterà una nuova mostra scandita da installazioni immersive: per la prima volta…
Charlie Brown trasporta il suo piccolo albero di Natale negli ultimi momenti del classico natalizio del 1965, e fissa un…
Fino al 28 febbraio, nelle Sale Canoviane del Museo Correr a Venezia, le sculture in vetro di Karen LaMonte dialogano…
Il maestro del pop Ed Ruscha reinterpreta uno dei paesaggi simbolo del suo immaginario trasformandolo in una tavoletta di cioccolato…