Anzitutto l’editoriale. Intitolato “tutto e ovunque?”, gira attorno all’argomento estate, quindi le mete turistiche, quindi l’imbarazzo della scelta e il consiglio di sfruttare al meglio il tempo libero a disposizione. Vabbe… la cosa più interessante è l’intimo e grazioso ritratto della direttrice griffato dall’artista Letizia Cariello.
L’utopia è il filo rosso che unisce l’operato artistico di Nils Norman, Alicia Framis e Tana Hargest. Nato Thompson ci introduce al discorso sul rapporto tra utopia ed eterotropia, nel quale i tre artisti s’inseriscono, riflettendo – con installazioni e fotografie – su di un ipotetico mondo migliore e sulla realtà globalizzata e post-moderna. Ma da tre prospettive differenti. Se Norman lavora sull’utopia, rendendola complessa, e Framis ne prende le distanze, contestandola, Hargest ci gioca, prendendola in giro, con una critica acuta e pungente.
Ombretta Agrò ci accompagna per le vie della scena artistica islandese. Nel contesto di un paese così estremo, si è fatto sentire Tumi Magnusson, che ha realizzato una curiosa serie di installazioni intitolata Family Portrait. Quattro fotografie. Ognuna ha la grandezza di una parete. I soggetti? Elementi del corpo umano. Un occhio. Una bocca..Tutte manipolate digitalmente e appartenenti ai componenti della famiglia dell’artista. Di qui il nome dell’opera. Dalla nuova generazione di artisti islandesi emerge Bjargey Olafsdòttir. Portano la sua firma fotografie, video e performance che letteralmente imbeve di umane ossessioni e assurde fantasie, infondendo un’atmosfera sinistra allo spettatore, che si trova a navigare in oscure trame oniriche.
Tra antropologia visiva e architettura, Marjetica Potrc studia la variabilità urbana. Livia Paldi ce la presenta. Le sue installazioni sono una continua ricerca di soluzioni innovative – e creative – nel panorama delle città globali odierne. Un ibrido tra il formale e l’informale, all’insegna di una città immaginaria. Strategie di sopravvivenza contemporanea.
Ed ecco Amorales vs. Amorales. Carlos Amorales è un artista messicano. Ma lavora ad Amsterdam. E la 50° Biennale di Venezia lo ha chiamato a rappresentare i Paesi Bassi. Gioca sul mondo del wrestling, creando performance in cui lottatori professionisti indossano la maschera di Amorales, sfatando i miti dell’identità e della collettività. L’intento è provocatorio. Risultato ironico assicurato.
Concludendo, lasciamo la parola a Marc Bauer. Dalla sezione estratti: “c’è il mare, scuro e immenso, tutto intorno a noi. Dobbiamo lavarci nel mare. E questo ci terrorizza… Nuoto rapidamente attorno alla barca… e non guardo il fondo, perché so che ci sono dei mostri proprio qui sotto. Non devo pensare, e soprattutto non devo scatenare i miei pensieri, ma piuttosto guidarli… Sono nel mare, è notte: questo è tutto”.
micol passariello
articoli correlati
Amorales a Milano
Cosa significa davvero libertà? La domanda attraversa lo spettacolo di Paolo Nori al Teatro Franco Parenti di Milano: si parla…
In inglese e con il Moentore Joana Vasconcelos, il Master in Future Store Design presso IED Firenze consente di abbracciare…
Una mostra celebra i 50 anni dell’Accademia di Belle Arti di Frosinone con le opere degli artisti e docenti. Ne…
Una serie di percorsi per scoprire, insieme ad Untitled Association, le mostre e i progetti più interessanti durante i giorni…
Fino al 10 luglio, e in concomitanza con la 60. Esposizione Internazionale d’Arte, Brian Eno fa, per la terza volta,…
Dopo le accese polemiche dell’ultima edizione, tacciata di antisemitismo, documenta di Kassel si prepara all’appuntamento del 2027 e specifica che…