Sistema occidentale che infatti tende a guardare con la puzza sotto il naso questa fiera, alla quale invece va almeno riconosciuta un’identità chiara, schierata e, perché no, antagonista sul mercato globale. La sua scommessa sta nella possibilità di accreditare nuovi mercati, affrancati dal servilismo anglosassone. Fin qui i pregi. I conti che non tornano stanno nel fatto che, nomi alla mano, i grossi e potenti operatori del settore che si sono conquistati i crediti nelle fiere maggiori, Art Basel in testa, non hanno né coraggio né convenienza né intenzioni di buttare a mare le sudate rendite di posizione per schierarsi con questo movimento.
Il risultato è che l’iniziativa assume connotati deboli, dimessi, riscattati solo in parte dall’operazione simpatia inaugurata l’anno scorso con i chiassosi e giocosi festini a base di musica e sangria sull’accogliente terrazza panoramica sul Reno.
Tra le 40 gallerie in mostra, buona la performance della paulista Barò Cruz, specie per le stanze vuote fatiscenti fotografate da Lina Kim. Sempre per la fotografia sono da segnalare quelle di Manuel Piña, che ritraggono provocatoriamente l
La cilena Aninat concede spazio alle performance di denuncia del Colectivo en Memoria; in questa kermesse non si teme di esibire ricerche concettuali di impegno politico e sociale che costituiscono uno specifico dell’area.
I collage e i lavori realizzati con il packaging dei prodotti di consumo di Benjamin Torres appaiono, in questo senso, certamente azzeccati mentre più leggera, anche se esteticamente coinvolgente, è l’operazione di Brian Dettmer, che ricava teatrini e paesaggi intagliando le pagine dei libri. I due sono le punte della newyorkese Haydeé Rovirosa mentre da Garash attrae il rigore di Hisae Ikenaga, per le sue installazioni modulari realizzate riproducendo serialmente in resina oggetti di uso quotidiano.
Eugenio Merino, di T20 -Spagna-, procrastina un’Art Basel Etiopia e Begoña Morales fa esplodere case di balsa sotto plexiglas per la Estaciòn di Chihuahua. Due le italiane in lizza, Vitamin di Torino, qui con la carta da parati di Simeti, i video di Valeska Soares e i lavori della greca Irini Karayannopoulou, e la milanese Prometeo di Ida Pisani, che non molla l’osso di Regina José Galindo allestendo una sorta di retrospettiva della Mater Dolorosa guatemalteca già Leone d’oro alla Biennale, e appende ritratti dei giovani sniffatori di colla del rumeno Ciprian Muresan. Sublime infine il video dell’azione di Annibal Lopez del 2003. In A-1 5367 l’artista scarica una tonnellata di libri in una strada trafficata del Guatemala, creando dapprima un ingorgo, quindi lo scompiglio.
La pena per contrappasso del caos cittadino è espiata quando i passanti si soffermano a leggere i libri, portandosi via i loro preferiti e ristabilendo così, diremmo per naturale processo di appropriazione culturale, l’ordine.
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alfredo sigolo
[exibart]
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