Categorie: Film e serie tv

La luce nella masseria: un film per i 70 anni della Rai e una storia famigliare

di - 31 Dicembre 2023

Il 3 gennaio del 1954 la Rai iniziava le sue trasmissioni televisive su scala nazionale, portando una rivoluzione culturale e sociale nelle case degli italiani. Per festeggiare questo importante anniversario, Rai 1 propone, il 7 gennaio, in prima serata, il film La luce nella masseria, una storia di amore e di speranza ambientata nel Sud Italia negli anni Cinquanta. Il film è diretto da Tiziana Aristarco e Riccardo Donna e interpretato da Domenico Diele, Aurora Ruffino, Renato Carpentieri e Giovanni Limite. La sceneggiatura è firmata da Saverio D’Ercole, Salvatore Basile e Roberto Moliterni, su un’idea originale dello stesso D’Ercole. La luce nella masseria è prodotto da Luca Barbareschi con la sua Èliseo Entertainment con la collaborazione di Rai Fiction.

«Insieme alla Rai – ha esordito Barbareschi –  portiamo avanti l’ultima possibilità di narrazione di questo Paese. Credo che la Rai dovrebbe essere orgogliosa di quanto servizio pubblico fa, non solo con la fiction ma con migliaia di ore di produzioni. Peccato che vengano pubblicizzate meno di chi magari fa due produzioni in un anno».

«Questo film – continua il produttore – racconta qualcosa di speciale: come eravamo e come forse non saremo mai più; come eravamo innocenti, aperti alle novità, alle emozioni, alle battaglie, alle tragedie che hanno accompagnato questo Paese e che la Rai ha sempre raccontato. Perché comunque, mentre vedevamo Sanremo, c’erano le bombe, le stragi, eppure l’Italia ricostruiva da capo con passione, con una generosità. Abbiamo raccontato un piccolo centro che poteva essere qualsiasi città d’Italia».

«Sono stato felice – ha concluso Barbareschi – di aver potuto produrre un film simbolico come quello dei settant’anni della Rai. Ringrazio Maria Pia Ammirati, Direttrice di Rai Fiction, per quello che riesce a fare in un’azienda che ha bisogno di tantissimi danari e non di populismo contrario, in un mercato dove ci sono competitors come BBC o ZDF che stanno investendo sulla narrazione autoctona. ZDF quest’anno ha avuto 2700 milioni di euro per fare fiction autoctona tedesca, mentre Maria Pia ha avuto 160 milioni, che è il costo di una serie Netflix. Quando con così poche risorse siamo comunque in grado di fare ascolti e bellissimi successi, queste andrebbero premiate con investimenti maggiori. E lo dico perché il benessere di questi giovanissimi attori presenti qui oggi, passa anche per questa tv.  In una società dove la gente si informa su Tik tok, un algoritmo cinese, io mi batterò tutta la vita in qualsiasi conferenza stampa perché si investita nella Rai, nel servizio di Stato, che ha la responsabilità di far crescere i nostri figli con un cibo sano per la mente».

Alla conferenza stampa abbiamo incontrato Riccardo Donna, regista del film insieme a Tiziana Aristarco, felice del fatto che «Per me è stato un bel regalo aver fatto il film dei settant’anni della Rai, con la quale ho firmato il mio primo contratto nel gennaio dell’81».

Molto spesso noi non sappiamo chi sia il regista, a meno che non sia un premio Oscar, mentre fiction Rai come le sue da anni entrano nelle case di milioni di italiani…

«Sì, magari faccio milioni e milioni di spettatori ogni volta, che con un film è quasi impossibile, ma c’è questa abitudine di trattare la televisione con sufficienza mentre si dà molta importanza al cinema. Secondo me, in questo momento è solo la televisione che sperimenta e che ha dato la possibilità a tanti di esprimersi. Il cinema in Italia è piccolo e, salvo rarissimi casi fatti dai maestri che hanno a disposizione budget elevati, magari a livello internazionale, sono piccoli film autoreferenziali. La televisione, invece, fa i film che al cinema la gente non andrebbe a vedere».

La Rai continua a conquistare un pubblico giovane con titoli come Un professore o Mare fuori

«La televisione sta lavorando per rinnovare il pubblico ed è un lavoro che si riesce a fare spesso grazie all’app: la maggior parte dei giovani vede le fiction su RaiPlay. Cuori, che è stata comprata anche da Netflix, va prima su RaiPlay dove è già disponibile la seconda stagione.

In una scena vediamo intere famiglie di un’Italia rurale che si riuniscono a casa di chi ha la televisione, mentre scorrono le immagini di Canzonissima girata a Roma. Roma e Matera non sembrano neanche nella stessa nazione. La Rai torna con queste storie a fare servizio pubblico raccontando come eravamo?

«Sì, c’era uno schermo che creava una barriera del tempo… ma io credo che Rai questo ruolo l’abbia sempre svolto. Molti di noi non hanno letto i grandi classici, ma magari li hanno visti in televisione. Adesso, che grazie alle nuove tecnologie lavoriamo di più e meglio e siamo competitivi anche con meno soldi, possiamo competere con i prodotti americani e la Rai cavalca quest’onda per raccontare il Paese. A me è capitato spesso di fare dei period, dove raccontare epoche diverse, e l’ho potuto fare grazie alla Rai. In questo mi sento un privilegiato».

Dopo gli anni ‘80 c’è stato un periodo in cui questo si era perso, magari sulla scia delle tv commerciali…

«Probabilmente l’arrivo di Berlusconi ha creato un cambiamento di gusti. Gli anni ‘80 e ‘90 non sono stati anni indimenticabili. Si sta recuperando e credo che molto si debba allo spazio dato alla fiction. Purtroppo, come sottolineava Barbareschi, alla Rai manca il marketing e i prodotti della Rai non vengono considerati alla stessa altezza di quelli prodotti da altre piattaforme».

Quanto pesa la sceneggiatura e la sua mancanza?

«Pesa. Se posso trovare un difetto, c’è poca gente che scrive e quindi lavorano sempre gli stessi. Forse non sempre abbiamo sceneggiature di alto livello, ma se uno scrive cinque o sei sceneggiature l’anno, alcune possono venire meno bene. Un altro aspetto è che ci vorrebbe anche il tempo, e quindi il denaro, per poter scrivere. La Rai ha una scuola interna e se adesso avessi un figlio giovane, gli farei studiare sceneggiatura. Lo considero meraviglioso e anche il lavoro del futuro».

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