Non saprei dire se Lartigue fosse innamorato della vita, la sua vita, o della fotografia. Fatto sta che le immagini, raccolte in questa mostra al Palazzo delle Esposizioni, danno una visione talmente eterea e goliardica della vita da fare di Lartigue (nonostante si dica abbia passato anche lui momenti difficili) un uomo invidiabile.
Invidiabile perché a 8 anni (siamo nel 1902) già possedeva una sua macchina fotografica, che divenne il suo taccuino visivo, invidiabile perché poteva accedere a club e circoli esclusivi, documentando una Francia ludica e benestante, invidiabile perché se è vero (come amava dire ogni tanto) che foste stato Dio a regalargli la prima macchina fotografia , è anche vero che lui di quella macchina ne aveva fatto buon uso.
Sicuramente il suo amore per la vita, l’innata curiosità infantile e la fotografia come mezzo per raccogliere l’attimo, sono stati contagiosi a tal punto da far diventare Lartigue (un pittore mediocre), uno dei fotografi più’ apprezzati in Francia e nel mondo per le sue istantanee amatoriali.
In mostra troviamo pagine originali dei suoi album, che ha continuato a produrre per tutta la vita insieme ai suoi diari, e 150 stampe tratte del suo archivio (donato nel 1979 allo Stato Francese che creerà un’apposita struttura per gestirlo: “L’association des Amis de Jacques Henry Lartigue). Resta comunque difficile una divisione, che probabilmente è solo espositiva, fra le pagine dei suoi album e le immagini proposte. La sua produzione fotografica è stata talmente personale, intima, slegata da condizionamenti esterni, da far pensare (come forse è) che il suo sia un lavoro per se, un semplice prolungamento del suo diario (anch’esso strumento non solo di memoria ma raccolta di attimi e riflessioni) quasi a sottolineare la voglia di rendere eterne le sue passioni e gli amori.
In questa mostra non sono solo le foto di Lartigue ad essere esposte ma la sua stessa esistenza, fissata con ironia, competenza tecnica e passione. Ed è forse questa la chiave di lettura vincente: Jaques Henry apre una porta sul suo mondo dorato di giochi infantili, gare, corse (su tutto ciò che si muove in mare, terra, cielo), bellezza e spensieratezza con tanta semplicità da rendere vane le critiche, e lasciare posto solo al piacere di condividere, con lui a distanza di anni, quei momenti.
Quello che manca alla mostra è una sequenza temporale delle immagini, importante per capire (cosa abbastanza rara nel mondo dell’arte) come è cambiato il suo rapporto con le immagini nel corso della sua crescita, che nel suo caso non è solo artistica ma anagrafica e fisica!! In questo modo avremmo potuto apprezzare meglio il suo passaggio dall’infanzia all’età adulta, il cambiamento dell’inquadratura (che si è via via alzata insieme alla statura), il passaggio dall’innocenza alla goliardia, il suo rapporto con i soggetti.
La mostra è un album quasi di famiglia aperto al pubblico, può piacere o meno, ma un fatto è incontestabile: le immagini realizzate tra i sei e i dodici anni fanno di Lartigue il più giovane ed innovativo fotografo del “900.
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