Sensualità è la parola più adatta per registrare le fotografie scattate dal Maestro Capellini, altri sostantivi svierebbero la codifica dell’opera verso una interpretazione più complessa e articolata, che risulterebbe “nociva” dell’immediatezza di impatto, che la visione di queste opere merita.. Accolti dal B/N delle prime foto, si viene via via coinvolti verso quelle a colori, destando sin da subito una particolare attenzione verso le differenze estetiche delle prime sulle altre, verso la carica “passionale” delle luci delle prime, contro il lirismo più diretto e crudo delle seconde. Appare strana questa selezione di opere, per due motivi: Capellini è conosciuto più per il reportage fotografico, per la dedizione agli ambienti artistici (Teatri, Musei, Cinema, scultura…), che per una reale “interpretazione” soggettiva di una poetica…quindi appare “curiosa” questa nutrita selezione di opere con tema la schiena; perché tra la moltitudine di tipologie di soggetto, l’artista ha scelto proprio la schiena come elemento scaturente l’espressione? I dubbi si sciolgono sia osservando le fotografie esposte, che ascoltando le parole di Capellini stesso: “ho voluto mostrare quanto importante sia la schiena per l’uomo… a tutti fa male la schiena, tutti noi la usiamo per comunicare, pensate a quando si ha paura: ci si appoggia con la schiena al muro; a quando la si da agli altri: si mostra indifferenza, ma anche sicurezza, fiducia…un mondo, quello delle terga, che lascia adito ad una forza caratteriale insolita ma decisa..” continua poi esponendo la natura di questo progetto che rova origine da un episodio capitatogli: “Fu Goffredo Parise, a mettermi in testa l’idea di fotografare schiene facendomi vedere, un mattino di tanti anni fa, nell’atrio del Liviano di Padova, la grande scultura di marmo bianco di Arturo Marini, il “Tito Livio”. –Guarda che bellezza- mi disse – questa schiena sembra mare in tempesta-“
L’amabile fotografo non è uso a dilungarsi, bastano queste poche parole per introdurre l’argomento di questa sua personale, è esaustiva l’opera stessa circa il messaggio che propone. Ecco schiene curve, archi di prospettiva, tensioni e riflessi, squarci e primi piani, triangoli compostivi, isotropie, tenerezza, socialità, costruzione…Tutte fotografie che respirano della propria carica, referenziali se vogliamo, ma anche transfer dei più nascosti codici dell’individualità…ma proprio in questa accezione, unite nel mostrarsi appunto, sensuali . Forse, a causa proprio di questo sottile corteggiamento cui le schiene di Capellini ci riconduce ha determinato una predominanza di soggetti femminili rispetto quelli maschili, ma lo stesso Maestro, tende a negare di aver solamente accennato a rappresentare l’humus maschile: “no..” dice Capellini. “…non credo manchi la figura maschile. Guarda per esempio quella alle tue spalle…” e indica dietro a me un trio di schiene ove quella centrale di un uomo, protegge le più minuti poste ai lati, di due bimbi; non aggiunge altro, e io…sorrido. Ma a prescindere da questa risposta, il gap si nota: se espressione della schiena si vuole portare in luce, allora che sia, ma in toto. L’alto numero di soggetti femminili non giova al tema più generale, ma propone piuttosto una lettura dell’universo femminile (e si ritorna alla sensualità). Si noteranno allora come la schiena dell’uomo sia ripresa a testimonianza di un ruolo sociale (contesto famigliare, lavorativo) invece che in maniera autosufficiente o quasi come quello femminile (ricco di costruzione, perfezione, attesa, attimo). Forme al lavoro, colte nella fatica, nella naturalezza delle quotidiane azioni…quelle dell’uomo; suggestive e decise, suadenti, quelle invece che riprendono l’espressione femminile. Capellini in questo modo addice ai dei ruoli ben determinati.
Penso alle foto di Man Ray, ai giochi di riflessi di Bill Brand, alla carica espressiva di Sander, l’attimo di Cartie-Brasson, il lirismo di Kertesz….rammento le foto di “storici” maestri della fotografia scorrendo quelle proposte da Capellini e non posso notare le affinità, la decisa luce, l’importanza del contesto, come se un tributo fosse loro rivolto, anche se in maniera sottile e raffinata.
L’appuntamento fotografico proposto presso le sale del Museo Civico al Santo rientra nel progetto del Comune di Padova, e del Centro Nazionale di Fotografia di Padova di elevare a sede espositiva di arte fotografica, proprio questo palazzo…infatti le prossime mostre verteranno su autori di importanza consistente (un nome su tutti Robert Doisneau) …almeno sino a quando non verrà inaugurato il “vero” spazio espositivo e operativo del CNF di cui sopra. Se si tralascia la parentesi “I due Soli” (mostra terminata pochi giorni fa) l’esposizione delle opere di grandi fotografi era già iniziata con Leo Matiz, testimonianza mondiale di una poesia attuata tramite l’obiettivo, quindi a maggior ragione indice di un tentativo strutturato, dall’ente organizzativo e dai curatori, verso la valorizzazione della fotografia in questo fine secolo.
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A me la mostra non è piaciuta perchè troppo scollegata con il lavoro di Capellini. Credo che la rivisitazione del suo operato attraverso un tema come quello proposto in queste sale risulti riduttivo e al quanto azzardato. L'invenzione delle schiene come metafora di linguaggio non gli appartiene, e se anche fosse, il risultato è piuttosto misero. Non c'è vena artistica in queste foto, solo una serie di scatti costruiti o meno che puntano al documento, nulla di più. la rivisitazione di una qualsiasi tecnica fotografica non è poi indice di una originalità (necessaria) poetica, ma di una appropriazione quantitativa sul mezzo che deve lasciare il tempo che trova. Che continuasse a fotografare architeture e monumenti, il soggetto umano proprio non lo sa inquadrare senza menzionare artisti del passato....