Ancora legate ad una logica da ready made, possono essere considerate le opere di due artisti degli anni ’90 come Andres Serrano e Vanessa Beecroft che in qualche modo utilizzano un tipo di straniamento simile a quello che abbiamo già visto in Oliviero Toscani, nel precedente approfondimento. Entrambi giocano infatti sul cortocircuito che si viene a creare tra i soggetti-oggetti delle loro fotografie e il sistema che li veicola. Nel caso di Serrano (1950) la partita si gioca tra i valori oggettivi “raccapriccianti”, cui sono immediatamente riconducibili i
Le foto delle “goffe indossatrici”, riprese dalla genovese Vanessa Beecroft (1969), scimmiottano invece, su un versante “povero”, l’universo fittizio e suadente riprodotto dai mezzi di
Il clima d’oggettività in linea di massima permarrà dunque, con poche varianti, fino alla fine degli anni ’90. E’ infatti di questi anni il lavoro di un giovane e rappresentativo artista italiano: Gianluca Cosci. Col suo lavoro Cosci rivendica la propria identità, il suo appartenere alla dimensione reale. Ma in un periodo in cui il reale viene esperito attraverso le immagini mediali, la vidimazione della propria essenza, come abbiamo visto, non può convalidarsi che attraverso l’esteriorità del proprio corpo, riprodotta dall’obiettività tecnologica. Il corpo acquisisce così una patente di legittimità, mediante un processo analogo a quello con cui i mezzi di comunicazione ci fanno esperire (apparentemente) la realtà. Come sosteneva la Sontag in Sulla fotografia (1977), la nostra esperienza del reale è ormai mediata quasi completamente dalle immagini tecnologiche, cosicché i piani si ribaltano: non è più la fotografia che assomiglia alla realtà, ma è la realtà
Ancora una volta la fotografia si identifica con il suo correlato esteriore, con l’oggetto “opportunamente” ripreso; con il ready made la cui logica straniante subisce ormai inconsapevolmente l’umanità intera.
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