Categorie: Fotografia

Dryphoto: “Urban Story. Una lunga avventura nel mondo dell’immagine”

di - 22 Dicembre 2020

Fondato tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta a Prato, Dryphoto arte contemporanea, è uno spazio no profit per l’arte contemporanea e si è affermato come punto di riferimento per le ricerca fotografica, dando vita a progetti e collaborazioni che hanno unito importanti fotografi e territorio.

Oggi con Urban Story, sul sito di Dryphoto, questa storia viene raccontata attraverso documenti audio e video: «Urban Story è un archivio, inteso non come luogo chiuso, della conservazione, ma come spazio dove trovare le storie e le immagini che possono aiutare a comprendere il presente e a immaginare il futuro. Non puro esercizio della memoria, ma attivazione del presente attraverso la memoria.
Una raccolta di immagini e di documenti delle iniziative organizzate dal 1977, anno della nascita di Dryphoto, ad oggi, insieme a testimonianze audio e video delle persone che, in modi diversi, hanno contribuito alla formazione di un progetto e di uno spazio.
Un archivio aperto a nuovi contributi e nuovi ricordi di oggi e di ieri», ha spiegato i fondatori.

Intervista a Vittoria Ciolini, socia fondatrice e Presidente di Dryphoto

Come definireste, da dentro, Dryphoto? Come è cambiato nel tempo e quali sono i suoi obiettivi oggi?

«Uno spazio no profit che si occupa di arte contemporanea con una attenzione privilegiata alla fotografia.
Informale attento alla relazione e ai processi che si mettono in atto.
Alla ricerca costante di senso, tendente alla formazione di vita in comune/socialità.
Convinti che l’arte, appartiene alla vita e che, con le sue proprie regole, può consentire alle persone di essere partecipi di processi di creazione condivisi di senso e di significato.
Percorrendo i nostri quaranta anni di vita abbiamo la conferma di aver avuto una costante nel mantenere gli obiettivi di fondo: la ricerca, l’attenzione al territorio che abitiamo, la necessità di occupare spazi non canonici, non deputati.
Direi che, sviluppati con una diversa modalità e una diversa articolazione, oggi portiamo avanti gli stessi obiettivi».

Qual è il rapporto che Dryphoto ha costruito negli anni con il territorio?

«Un rapporto molto forte. La nostra necessità di rispondere anche a quelli che sono i bisogni delle genti e l’attenzione agli ultimi sono ancora alcune delle nostre priorità».

© Dryphoto
Avete creato una mappatura dei luoghi di produzione e esposizione della fotografia in Toscana. Come l’avete realizzata e in che modo ha influenzato il vostro lavoro con i fotografi con cui collaborate?

«La mappatura nasce dal desiderio di mostrare cosa accade intorno a noi, dalle conoscenze e frequentazioni personali acquisite durante la nostra lunga attività e dalle collaborazioni messe in atto. Abbiamo collaborato con la Fondazione Studio Marangoni e l’Archivio Fotografico Toscano; Chiara Ruberti coordinatore del Photolux Festival di Lucca, ha curato per noi alcuni progetti; i giovani fotografi Andrea Palummo e Chiara De Maria fondatori di The Tuscan House of Photography hanno partecipato alla campagna fotografica La via della Cina edizione 2019.
Causa emergenza Covid le consultazioni, dove non possibile, sono state via web e telefoniche.
Come di solito il dialogo è proficuo con alcuni».

Può ricordare alcuni degli artisti che hanno collaborato con Dryphoto?

«Luigi Ghirri, Olivo Babrieri, Guido Guidi, Giovanni Chiaramonte, Vittore Fossati, Fulvio Ventura, Marco Zanta, Vincenzo Castella, Andrea Abati, alcuni dei nomi per quanto riguarda la “fotografia italiana di paesaggio”, ma anche Mario Schifano, Eugenio Miccini, Thomas Ruff, Toshio Shibata, Sakiko Nomura, Gea Casolaro, Saoyinong & Muchen, Giovanni Ozzola, Michael Schmidt e molti, molti altri. Specialmente gli artisti/fotografi chiamati nei primi anni di vita del  nostro spazio hanno contribuito anche alla formazione culturale della città di Prato attraverso incontri aperti e una costante attività laboratoriale che affiancava le loro mostre. Inoltre, per esempio, nel caso di Olivo Barbieri che abbiamo più volte esposto, per la prima volta nel 1982, il suo impegno verso la città si è anche concretizzato nel 2015 con l’installazione di un’opera permanente Mantova, 1980 nel cuore della cosiddetta “Chinatown pratese”».

© Dryphoto
Quale è oggi, pandemia a parte, l’importanza di offrire opportunità di ricerca fotografica sul campo?

«Penso che ancora oggi, come negli anni passati, sia importante costruire di volta in volta nuovo immaginario al di là delle figure retoriche e di quello che ci viene quotidianamente corrisposto. Con questo non intendo assolutamente parlare di foto denuncia. Luigi Ghirri con le sue fotografie, negli anni Settanta, ha cambiato l’immaginario del nostro paese e l’Italia non è più stata quella del Touring Club ma quella della gente comune. Per questo per esempio abbiamo rifuggito ogni ipotesi di “raccontare” la pandemia».

Quali saranno i prossimi appuntamenti con Dryphoto?

«Iniziamo l’anno nuovo con la parte installativa di questo progetto. Le opere È un piacere parlare con te, Pollicina di Valentina Lapolla, The Dragon and Saint George, di Robert Pettena e Patriotism. Hymn del gruppo R.E.P. – Revolutionary Experimental Space saranno visibili negli spazi esterni della galleria, in Giardino Melampo e nelle varie diramazioni di via delle Segherie insieme alla proiezione e all’ascolto del materiale video e audio prodotto per il progetto Urban Story. Continueremo il lavoro nel quartiere invitando artisti a lavorare specificatamente su questa parte del territorio.
Prepareremo una ampia e coinvolgente edizione del nostro progetto Guardare al Paesaggio, questa volta con un focus sulle isole dell’arcipelago toscano.
Una riflessione tra fotografia, paesaggio, suoni, cura e abbandono per approfondire e discutere i diversi aspetti del paesaggio e le problematiche ad esso legate in una visione aperta, interdisciplinare, propositiva, attraverso una serie di giornate esperenziali».

© Dryphotomore
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