«Oggi tutti i giovani sul biglietto da visita scrivono fotografo artista o artista fotografo. Pensano solo all’arte, io non sono un artista, non voglio passare per artista, voglio passare per un fotografo fotografo», Gianni Berengo Gardin. In una scena del film Fra le nuvole, il taglia teste, l’addetto a licenziare impersonato da George Clooney, fa una domanda a uno del malcapitati: «Perché i ragazzi amano gli atleti? Perché inseguono i propri sogni. Quanto l’hanno pagata per rinunciare ai suoi sogni e quando avrebbe smesso per tornare a fare quello che la rende felice?». In un documentario dedicato al Maestro Gardin e, soprattutto, dalle sue fotografie rigorosamente in bianco e nero, traspare l’immagine di un uomo che ha fatto ciò che lo rendeva felice, coerente nelle proprie scelte e dedito a vedere le cose della vita, da un punto di vista fortemente etico. È possibile vedere un generoso corpus di sue opere, oltre 200 fotografie, a Villa Pignatelli – Casa della Fotografia, a Napoli, in occasione della mostra “Gianni Berengo Gardin – L’occhio come mestiere”, che prende il titolo dal libro del 1970 curato da Cesare Colombo. Nato in Liguria, ma cresciuto a Venezia, ora ha superato i 90 anni, un uomo che non si è mai accontentato e non si è mai fermato.
Curata da Margherita Guccione, Alessandra Mauro e Marta Ragozzino, la mostra ripercorre la sua vita, in giro per l’Italia, con la sua Leica, nei posti in cui è stato. Tornano in mente le sue parole: «Sono stato fortunato, ma certe volte bisogna anche sudarsela la fortuna». Viene spesso ricordato per i suoi baci ma il suo è stato un lavoro dedito al sociale: più volte specificava di essere un fotoreporter, non un artista e non mancando mai di ringraziare per quella dedica a Parigi di Henri Cartier-Bresson: «A Gianni Berengo Gardin con simpatia e ammirazione».
La sua è una fotografia che voleva e vuole tuttora fare luce, che entra nei posti, nelle case, nella storia. Ed ecco le foto che denunciavano la situazione nei manicomi negli anni ‘70, la dura vita lavorativa delle donne nelle risaie, i costumi e la cultura dei campi rom, il mondo dell’industria con i reportage per Alfa Romeo, Fiat, Pirelli e, soprattutto, Olivetti, fino alla guerra contro le grandi navi a Venezia. Le stesse foto sui baci, hanno un retroscena etico: «Quando ero giovane in Italia era proibito baciarsi in pubblico, ti potevano arrestare per oltraggio al pudore. Così, quando sono arrivato a Parigi, dove tutti si baciavano continuamente, sono diventato un guardone. Mi sembrava così strano che la gente potesse baciarsi dovunque: in strada, in autobus, in treno, che ero invidioso e avido di rubare queste fotografie di baci…».
Presentata già al museo MAXXI di Roma nel 2022, la mostra a Villa Pignatelli si arricchisce di un nucleo di fotografie di Berengo Gardin dedicate a Napoli e al territorio campano come quella del tram 1 Poggioreale/Bagnoli con gli immancabili ragazzini in coda. All’inizio del percorso viene dato spazio allo studio, luogo di riflessione e di elaborazione, mentre una sezione è dedicata al libro, con oltre 250 pubblicazioni realizzate nel corso di 70 anni, tra cui le lunghe collaborazioni con il Touring Club Italiano, con De Agostini e nel campo della documentazione di architettura con Renzo Piano.
Difficile non soffermarsi a riflettere sulla frase finale che si legge sul pannello della mostra: «Le fotografie non sono state corrette, modificate o inventate al computer», GBG, ovvero un uomo che ha fatto del suo occhio il suo mestiere.
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