CHIARA TOMMASI, RITRATTO
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistata è Chiara Tommasi.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Lavoro da sempre sull’identità come libertà. Mi piace indagare e mostrare le possibilità di genere per portare ad una scelta consapevole. Siamo spesso condizionati dal vissuto e dall’educazione, ma esiste una diversa visione che non a tutti appare spontanea. I social hanno aperto molte porte, reso il privato pubblico e viceversa. Cito a riguardo una mia serie fotografica e una performance, “Due”, curata da Rosanna Stoppani all’interno dell’evento “Reverie: la casa immaginata” a Viterbo nel 2019. Ritratti della stessa persona con abiti maschili e femminili nella medesima fotografia, e due gemelle identiche in una stanza piccola vestite da uomo e donna, che accoglievano i visitatori in un rapporto diretto spaesante. Disorientamento dal genere al quale dalla nostra nascita siamo abituati ad essere».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Sono un folletto, un visitors, una piccola bambina che usa la macchina fotografica come un gioco o un lecca lecca. Un po’ dispettosa».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Importantissima questione e grande responsabilità.L’intelligenza e la cultura sono un’arma imprescindibile da usare con cautela, rispetto e sensibilità per l’altro, il diverso dal sé».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Siamo solo un insieme di stimoli, di incontri, di visioni, di esperienze che uniti diventano un mix irripetibile. Non si può prescindere dal passato nella definizione di una identità artistica né, a mio avviso, dalla condivisione che diventa un atto di coraggio, come spogliarsi davanti a un obiettivo. Cito un mio lavoro del 2018, “13”, curato da Serena Achilli al Lago di Vico: Una ragazza nuda su di una barca ormeggiata nel lago in lontananza con il volto coperto da una maschera di Unicorno. Poteva essere vista da vicino solo attraverso un binocolo posizionato in un osservatorio ornitologico di fronte. La maschera, l’identità, i social, essere nudi di fronte a tutto o a nulla».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Credo di avere il compito di tracciare le linee immaginarie che portano all’ altro, di aiutare nel disorientamento, quello illuminante. Mi piace guardare, ascoltare, domandare, infastidire, anche con la mia arte. Sempre con sensibilità e attenzione in ogni caso».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Avrei voluto essere una rockstar».
Chiara Tommasi nasce a Cesena nel ‘66. L’Iconografia pop, il primo videomusic, la cultura inglese degli anni’80, il desiderio folle di essere altrove fanno parte della sua crescita e formazione. Si trasferisce a Roma negli anni ’90 e da quel momento lavora con la fotografia analogica e sperimenta il video, mescolando l’immaginario quotidiano, autoritratti ironici e metaforici con un uso del colore forte e sproporzionato.
Dal 2016 le sue videoinstallazioni invadono spazi non normalmente adibiti all’arte, muri dimenticati, piccoli borghi nascosti, appartamenti vuoti in vendita o chiese sconsacrate. Spesso si tratta di opere luminose, accompagnate da suoni e atti performativi. Dal 2018 vive nel nord del Lazio, in un casale che è diventato una sorta di fabbrica sperimentale di immagini. Le sue icone sono Pippilotti Rist, Martin Luther King e Quentin Tarantino.
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