Partenopeo di nascita, ma
cresciuto a Trieste,
Claudio Massini (Napoli, 1955; vive a Casier, Treviso) dedica alla sua
città d’adozione un lungo cammino espositivo, che si snoda, in opere ed
allestimenti diversi, all’interno degli ambienti di quasi tutti i civici musei
del capoluogo giuliano.
Un’iniziativa interessante, se
valutata nella prospettiva d’una rivitalizzazione degli itinerari museali
cittadini, oggettivamente poco frequentati. Meno convincente invece sotto
l’aspetto delle scelte allestitive che, in certi passaggi, sembrano suggerire
più una “caccia all’opera” che un’esposizione quale dovrebbe essere: tra il
candore di collezioni scultoree, antiche maioliche italiane, suppellettili
ottocentesche e storici arredi di lussuosi salotti borghesi, si devono
letteralmente scovare le intriganti opere di Massini.
Sedie, vasi e coppe, fiori e
chicchi di caffé, e poi ancora linee, geometrie, tasselli di colore e
firmamenti: questi sono i soggetti scelti dall’artista per onorare i luoghi
delle sue memorie giovanili, e la tecnica utilizzata per realizzarli è ciò che
rende queste opere affascinanti e complesse, al di là dal loro aspetto
apparentemente decorativo.
Il lavoro che sta alle spalle di
queste tele è infatti parte integrante dell’opera: decine e decine di strati di
colore si sovrappongono sino a formare uno spessore materico che si fa tessuto
scultoreo, pronto ad accogliere i fini solchi e le sofisticate incisioni che si
tradurranno in forme raffinatissime. Per far ciò Massini si serve di una
squadra di aiutanti e assistenti, che lavorano in una vera e propria
contemporanea bottega rinascimentale.
I
fili fatali di Massini, questo il titolo
della mostra, sembrano essere dunque intriganti e curiosi, interrotti però a
volte dall’impedimento a visitare e godere appieno della loro bellezza, come
nelle sale del Museo Sartorio, o tra le cupe stanze di Palazzo Morpurgo, dove
la comprensibile difficoltà di intervenire sui fermi ordini delle collezioni
non permette la massima fruibilità delle opere, che vengono però ripagate dal
respiro degli altri allestimenti, dove le tele di diverse dimensioni,
adeguatamente illuminate e contestualizzate, si propongono a una dettagliata
osservazione dei minuziosi particolari della superficie pittorica.
E così, fra le testimonianze della
tradizione marittima triestina del Museo del Mare, le bizzarre collezioni
ottocentesche del Museo d’Arte Orientale (dove senza dubbio i rimandi ad
atmosfere del Levante e i sapori nipponici dei motivi dell’artista trovano
l’ambiente più adatto a incorniciarli), gli ambienti medioevali del Castello di
San Giusto e i deliziosi modellini del Museo Ferroviario, si può inseguire il
fil
rouge di Claudio
Massini.
Che, con un incanto particolare,
ricama tra il passato e le memorie della città.