È dedicata a
Elio Ciol (Casarsa della Delizia, Pordenone, 1929) -uno dei più noti fotografi friulani e tra gli animatori, nella seconda metà degli anni ‘50, del circolo fotografico veneziano
La Gondola– la corposa mostra presentata nella doppia sede del piccolo Comune della provincia di Trieste.
Una vasta selezione di stampe in bianco e nero che, senza alcuna intenzione antologica, è volta a presentare le valenze più spiccatamente estetiche del fotografo, nel suo rapporto intimo e personale col paesaggio. Fotografie che indagano il rapporto dell’uomo d’oggi (e di sempre) con la terra, con l’ambiente. Ma non in chiave moderna, come dichiarata analisi ecologica; al contrario, come ricerca di rapporti armonici tra i campi arati, gli alberi, le colline, le chiesette di campagna, le rocce, le nuvole, il sole, l’ombra, il vento e gli odori del visibile.
Un modo d’intendere il paesaggio naturale in cui, in ultima istanza, l’uomo è solo l’ospite in grado di forgiare sagome e forme paesistiche, quasi fosse assoldato al servizio dell’obiettivo del fotografo. Una modalità artistica che Chiara Ciol, nell’introduzione del libro presentato per l’occasione, spiega come strumento di comprensione dell’essenza del reale, al fine di “
restituire l’intima struttura dell’universo”.
Ecco così succedersi, lungo il percorso espositivo che segna un lavoro cinquantennale, soggetti come
Ombre sulla neve,
Gelsi nella nebbia,
Viti come disegni o
Luci sulla spiaggia. Ma anche i più recenti scatti di Assisi o
Meridiana di Luce, stampa di grande formato che completa una sequenza di negativi ingranditi, in cui la rappresentazione iconica cede il passo a forme rocciose di pura astrazione.
L’abilità indiscussa del fotografo friulano, la sua abitudine alla rappresentazione del bello (dovuta anche al frequente lavoro di documentazione nel campo dell’arte e dell’architettura), l’uso talvolta sorprendente della pellicola a infrarossi, la raffinatezza delle stampe (come quelle recenti, realizzate con preziosi inchiostri al carbone) spingono lo spettatore a una visione delle fotografie silenziosa e contemplativa, non dissimile da come si possa immaginare l’atto stesso del loro concepimento.
Proprio per questo spiace che le sale espositive siano eccessivamente affollate, talvolta al parossismo, al punto da renderne difficile la fruizione, che necessiterebbe invece di pause e di un respiro più disteso.