L’artista vive e lavora a Boca, piccolo centro a due passi dal fiume Sesia, nel novarese. E davvero sarebbe impossibile separare la sua ricerca creativa dal contesto geografico, dal Piemonte, dalla campagna, dall’immobilità fredda del lago d’Orta, dall’aria umida delle colline. Dusio dipinge con nerofumo, catrame, cera i suoi paesaggi su carta, forex o legno, spesso di grandi dimensioni.
Le sue opere, vicine per atmosfera all’espressionismo astratto di Soulages, suggeriscono panorami vaghi, dove le forme di montagne e valli emergono come silhouette senza colore da fondi lattiginosi di bruma, autunni freddi e alberi spogli, focolari scuri, spenti, legni arsi, ceneri sparse.
Non a caso il metodo che usa più spesso, l’encausto, è una tecnica pittorica antica, che consiste nell’uso di colori sciolti nella cera e applicati a caldo sull’intonaco: deriva dal greco énkaustos, da enkaío, bruciare.
Bruciare, come se la visione incidesse nella memoria e quindi nell’identità ricordi a fuoco. I quadri di Dusio si chiamano infatti evocazioni interne, spesso di zone più o meno vicine come il monte Fenera, Talamone, il golfo di Baratti: luoghi reali, quindi, ma che diventano luoghi del pensiero, concetti, icone del sentimento e del vissuto.
Evocazioni interne come talismani, come i disegni di cenere tracciati dalle streghe – le masche, si dice in piemontese – come i graffiti preistorici di propiziazione rituale che costellano il non lontano Monte Bego, come fotogrammi che fermano il tempo.
Progetti anti-entropia, come anche le suggestive, intense, sculture esposte al Vicolo.
Sculture, se di sculture si può parlare quando è la natura stessa a decretarne l’identità e l’usura: tronchi, cortecce, relitti di fiume, recuperati all’ordine, congelati in statue, resi eterni. Con gocce di resina appese a invisibili fili di nylon ad ornarli come gioielli beffardi, metafore dell’intervento dell’uomo, necessariamente mimetico e imperfetto.
Le sculture di Dusio, di grandi dimensioni o piccoline, micrototem portatili, hanno titoli come Mummificazione del processo disgregativo della materia e ricerca della sua relazione poetica interna, Silenzio della sparizione nel Caos, Sospensione della materia.
Sono in bilico sulla sottilissima, ambigua linea di confine tra la celebrazione del caos e il suo esorcismo. Scrive l’artista nel testo a catalogo “Il senso del mio far dell’arte affonda esattamente laddove la ragione prende le mosse; dal dubbio. La ragione per definizione ordina, io da lì vado a ritroso ricercando il senso inverso, quello del disordine.”
E tutto il lavoro di Dusio, fumoso, caldo, evocativo e romantico, che ricorda gli studi di marine di Constable o le celeberrime tempeste di Turner, riguarda in fondo l’uomo posto di fronte al cosmo e alla sua propria, intima natura, i tentativi rituali di mimesi e possesso, il rifugio nella memoria. Una memoria ohnezeit, senza tempo, che significa eterna ma anche istantanea: l’incerto, il provvisorio viene quindi assunto a valore alternativo, a zattera nel caos o nel nulla. Come scrive l’artista, “all’uomo rimane l’intuizione che è fulmineità, luogo della poesia” e ancora, Dusio cita Platone: lo stupore è all’origine di tutto.
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