Andante un poco mosso. Non è la grafica âsismicaâ, ricalco
dellâelaborazione musicale di
Elisa Strinna, a registrare lâintensitĂ della
terza residenza per giovani curatori promossa dalla Fondazione Sandretto,
sconfinata in terra ligure per incontrare la Fondazione Garrone col bis
ârinforzatoâ di un saggio finale interessante, ma tutto sommato poco audace.
Esposti gli uni accanto agli altri, gli artisti
selezionati dal colombiano Inti Guerrero, dallâaustriaca Julia Kläring e dalla
belga Pieternel Vermoortel risultano sostanzialmente omogenei agli ormai
storicizzati nomi della collezione torinese. Non solo per un allestimento
âtrasversaleâ, quanto per lâuniformarsi alle modalitĂ creative dellâ
establishment. Del resto, i prescelti proprio
di primo pelo non sono (e ci si chiede, allora, se obiettivo â faticoso ma
eccitante â di un curatore ospite non debba essere, pur nei limiti di tempo,
anche quello di scommettere su chi non
abbia ancora conosciuto lâonore della personale o della candidatura al premio).
Ci si applica cosĂŹ a sviscerare il
senso della congiunzione avversativa del titolo, galileiano nella forma ma
scarsamente foriero di rivoluzioni. E se proprio non si perseguono certezze, si
confida almeno in qualche garanzia. La âbiennalistaâ
Rosa Barba, ad esempio, che asseconda la
deriva dellâisola scandinava di Gotska SandĂśn;
Rä di Martino, la quale cede al vezzo(âŚli) di
mettere in scena una star come Maya Sansa, âinterpreteâ insieme a Mauro Remiddi
dei lanci di un
telegiornale della Bbc (nel suggestivo e orecchiabile
August 2008);
Moira
Ricci, che manipola e âcondivideâ foto di
famiglia, con unâintrigante sovrapposizione di ruoli tra madre e figlia.
Altrettanto memoriale, se non
altro nellâestetica e nella tecnica
dâantan, la sequenza di ritratti maschili
di
Caterina Nelli.
Debolmente
trendy,
invece, le installazioni di
Davide Savorani, ancora sulla trita dicotomia
naturale/artificiale, e quelle di
Emanuele Becheri, dal
Rilascio cartaceo agli oggetti dâaffezione
carbonizzati â anzi, fatti carbonizzare â e posti in teche a moâ di fossili o
reperti vesuviani.
E, a proposito di latitudine sud,
ancor prima di leggere la didascalia, chi vedesse â in una collocazione non
proprio felice â il video di
Giulia Piscitelli non esiterebbe a esclamare â
Napoli!â, indotto dalla facile
associazione tra il capoluogo campano e la munnezza in cui si svolge la
singolare âcaccia al tesoroâ di un anziano. Unâopera che in un colpo solo
acchiappa il tema dellâidentitĂ , la riflessione sul consumismo e, chissĂ , un
pizzico dâironia verso il ready made e lâarte del riciclo (che
Flavio
Favelli, dal
canto suo, ha
religiosamente osservato nellâinginocchiatoio-
glut)
.Prevalentemente legato alla
collezione è il versante storico-politico, dove lâ
outsider Patrizio Di Massimo seziona lâimpresa coloniale in
Libia. Il resto è un
Maurizio Cattelan che culla le macerie degli attentati mafiosi,
circondato dalla topografia degli Anni di Piombo di
Eva Frapiccini; o la âtargaâ luminosa
commemorativa di Pino Pinelli accesa da
Claire Fontaine, che nella Genova della Diaz e di
Bolzaneto, dei processi tardivi, delle condanne e delle assoluzioni, tanto
casuale non èâŚ
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Un perfetto esempio di come la componente autoriale sia decisamente sbilanciata sulla direzione e cura della mostra. Questo a detta degli stessi curatori. Gli artisti,selezionati dopo estenuanti e sommarie sedute, sono ingredienti impiegati burocrati dello stile, assolutamente intercambiabili. Tutto cio' e' legittimo.
una mostra moscia, al limite del noioso... ma questi tre 'a zappare la terra', no?