Le opere che
Nicola Oliveri (Spotorno, 1978) espone alla sua prima personale alla galleria Violabox sono racconti scritti col pennello, senza bisogno di parole. Sono storie raccontate da volti che guardano lo spettatore, invocandone la comprensione, chiedendone l’aiuto. I protagonisti di queste tristi storie forse sono uomini immersi nella sofferenza della vita. O forse sono spiriti, intrappolati fra la nostra e un’altra dimensione, in attesa di essere liberati. In ogni caso, sono esseri che chiedono attenzione, desiderosi di comunicare e di essere salvati.
Ed è qui che entra in gioco lo spettatore, parte integrante dell’opera quanto il soggetto che lo chiama in causa. Il suo compito è quello di dar voce a qualcosa d’immobile: di raccontarsi la storia che lo stesso dipinto gli ispira e di trovare un finale. Un finale che può essere tragico, come quello che suggeriscono a un primo sguardo gli occhi dei suoi protagonisti, ma che può anche risolversi in un lieto fine. La speranza c’è ma si deve cercare in un mondo di mezzo, quello dell’ombra riflessa dai vetri. E questo si può raggiungere solo con l’immaginazione.
Ecco allora che il tocco di Oliveri cambia di segno e si trasforma in suggestione leggera.
I suoi personaggi tragici diventano strane figure che popolano un mondo inventato. Il ritmo con cui nei ritratti affrontava il dramma dell’esistenza rimane incalzante, “senza riposo”, ma nei disegni avanza scandito dal tempo della fantasia, offrendo la possibilità di un punto di vista, se non rasserenante, almeno ottimistico. Il nero lascia il posto al colore. Il realismo dei volti diventa gioco d’immaginazione. Il sapiente studio chiaroscurale viene sostituito da pochi tratti, espressivi e immediati, che tradiscono un debito dalla tecnica surrealista della “scrittura automatica”.
Come scrive Annalisa Valiakas nel testo critico, sembra che i toni della tragedia si stemperino in quelli della commedia, per quanto grottesca. Del resto, in ognuna di esse c’è più d’un pizzico dell’altra. La realtà è qualcosa di inafferrabile, in continuo divenire, cosi nel mondo di Oliveri: nel passaggio dalla tragedia alla commedia, in quello dal nero al bianco. Distanze che possono essere percorse sia in andata che in ritorno. Ma se la verità sta nel mezzo, alla sensibilità dell’artista non interessa, non gli importa rappresentarla. Volti sconvolti possono diventare strambi personaggi con la stessa facilità con cui segni pittorici stesi con abile tecnica possono trasformarsi in un semplice disegno nero su sfondo bianco.