Alcune su un piedistallo, altre su mensola, oppure sospese o attaccate al muro, così le delicate sculture di Alex Pinna (1967, ligure di nascita, torinese di adozione), con la loro estrema eleganza, abitano con disinvoltura l’intero spazio della galleria.
Come i protagonisti di Love is … (la serie di affettuosi bigliettini di Kim Casali), le sculture ci raccontano il vivere giornaliero della coppia, rinnovata cellula base della società e, perché no, legittimo desiderio umano. E Pinna sembra ormai cresciuto: ha abbandonato i cartoni animati, non senza prendersi le sue belle rivincite, e guarda il mondo che lo circonda e che vive, quotidianamente. La vita di tutti i giorni che si accompagna ad un sentire e provare più intimo, che può essere il racconto di una goliardica serata con amici -narrata dalla precedente opera sBronzo (2002), presente in mostra nelle etichette delle bottiglie di vino rosso e bianco- o una profonda riflessione come è Equilibrio (2004).
Impossibile non pensare ai suoi punti di riferimento nell’arte del passato recente: Giacometti e De Chirico. Però mentre Giacometti, anche con la scabra materia, tendeva ad esprimere l’intimo disagio umano, Pinna rende le sue sculture oggetti di design, delle pure ed essenziali linee. La vicinanza a de Chirico è solitamente individuata nell’enigmaticità dei manichini, che tuttavia perdono la loro freddezza prendendo forma attraverso il caldo lavoro delle corde. Ma da entrambi, ed è evidente, si è ormai completamente affrancato.
Riconfermando il suo “operare per verifiche”, per dirla come Ivan Quaroni, anche in questa mostra i lavori esposti sono realizzati con tecniche diverse a volte unite tra loro, come la pittura che, delineando l’ombra della scultura, diviene un autonomo drawing painting. Ma ci sono anche le sue bellissime corde nelle quali, come sottolinea Luca Beatrice nel catalogo della mostra, “c’è la manualità quasi zen dell’intrecciare, nel compiere una ritualità gestuale per trasformare un materiale”, non abbandonando mai la sua vena ironica.
E così queste opere, realizzate con corde, con resina, in bronzo o in ceramica, riescono a farci sentire le gioie e i dolori di un rapporto di coppia. Litigi, insicurezze, rappacificamenti, delusioni, paure. Sono figure che si sfiorano, che si allontanano, che vanno verso la stessa direzione o prendono strade diverse, che sono vicine ma nascondono dei segreti. Figure che pur sostenendosi a vicenda, si sgretolano. Che dipendono l’una dall’altra e che devono riporre piena fiducia nell’altra. Eppure, nonostante questo, il loro legame perde consistenza. Sono come funamboli, immagine già vista in Alias (2004) dove una singola figura si lasciava pendolare appesa dal soffitto. Ora quella singola figura ne sostiene un’altra. E sono come due trapezisti, che dall’alto si abbandonano nel vuoto. Ma –a ben guardare- le loro corde si stanno sciogliendo. O annodando?
daniela trincia
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