“Incredibilmente fortunato” a non aver riportato danni dopo il passaggio dell’uragano Irma, il museo d’arte contemporanea di Miami Beach è stato riaperto il 29 ottobre dopo un restauro costato 12 milioni di dollari, iniziato nel 2015 e ritardato più volte.
L’architetto David Gauld ha lavorato ampliando gli spazi per più del 50 per cento, con difficoltà in stile “Tetris”, ha riportato Silvia Karman Cubiñá, direttore esecutivo e curatore del museo. La riorganizzazione ha coinvolto il cortile esterno e l’aggiunta di quattro nuove gallerie. La città di Miami Beach ha contribuito ai lavori (pubblici-privati) per 7,5 milioni.
Cubiñá attribuisce i ritardi nella riapertura (che doveva essere nell’autunno 2016 e poi posticipata alla primavera del 2017 e infine a ottobre) alla sfida di ristrutture di un edificio storico. Il team ha incontrato “sorprese”, dai tubi non inclusi nei piani, e ha dovuto aderire ai rigorosi codici del consiglio di conservazione di Miami Beach.
Ma ora, in attesa di Art Basel, le mostre: Pascale Marthine Tayou, che mescola i suoi lavori con i pezzi della collezione dei fondatori del museo, Johanna e John Bass. Il 7 dicembre poi arriverà Mika Rottenberg, artista di New York, ma anche “vecchie glorie” per nuove acquisizioni, in primi Tony Oursler e Cerith Wyn Evans, parte di una donazione di circa 80 opere multimediali della collezione di video di Martin e Cricket Taplin, donato al museo di quest’estate.
E ovviamente, dopo essere stato rimosso per colpa di Irma, è tornato al suo posto anche il grande neon di Sylvie Fleury Eternity Now (2015). Welcome back Bass!