Categorie: Il fatto

Arte ricca, povero mondo

di - 25 Novembre 2014
Partiamo da una serie di numeri. L’1 per cento delle persone più ricche detiene più di quanto posseduto dal 60 per cento della popolazione italiana. I poveri, invece, negli ultimi 6 anni, sono raddoppiati e oggi sono il 10 per cento della popolazione nazionale: 6 milioni di cui 4 chiedono un aiuto quotidiano per mangiare.
È il ritratto impietoso di un Paese (realizzato da Oxfam sui modelli dello statista Corrado Gini, ideatore dell’Istat) dove la forbice sociale si allarga a dismisura. Ovviamente non va così solo da noi: la classe media muore in Europa e negli Stati Uniti, le spese sanitarie della popolazione si riducono, il divario tra gli stipendi maschili e femminili continuano ad essere vertiginosi e solo il 23 per cento delle quote rosa impiegate ha lo stesso salario dei colleghi uomini al pari di livello.
C’è però, in tutto questo, un settore che invece di crisi non vuole saperne, ma che diventa sempre più ad appannaggio dei grandi portafogli e meno per tutti gli altri. Avrete già capito che stiamo parlando dell’arte, stavolta non solo contemporanea.
Quella, per intenderci, che batte tutti i record alle grandi case d’asta, Sotheby’s e Christie’s in primis, che vendono Munch, Van Gogh, Richter, Georgia O’Keeffe, Warhol e ogni giorno annunciano record su record, che si fagocitano l’uno con l’altro, pezzo dopo pezzo.
Un’arte che, per la middle class, non ha più alcun valore (figuriamoci per i poveri) proprio perché divenuta solamente ad appannaggio delle copertine, di emiri, di nuovi ricchi russi, indiani, cinesi.
Un’arte lontanissima anche dalla portata di semplici estimatori, appassionati, e anche addetti ai lavori costretti – quando è possibile comprare – a rivolgersi a chi fa “nero”, verso una qualità che di questo passo sarà costretta ad abbassarsi ulteriormente. Perché gli artisti non sono esclusi dalla forbice sociale, anzi. E senza soldi, senza commissioni, senza sostegno, non si crea. O si crea in qualche maniera, alla bell’è meglio.
Non c’è molto da stupirsi (ma c’è da preoccuparsi) se le questioni legate al bel mondo dell’arte siano sempre più lontane dall’idea di “economia” della popolazione comune, come se tutto ciò che ruota intorno ai milioni di dollari o euro fosse un ologramma impenetrabile, dunque decisamente ignorabile o tutt’al più da osservare con rabbia bella e buona.
Si potrebbe dire che lo stesso trattamento andrebbe riservato anche a presentatrici e calciatori, nonché a politici, ma sono tutte figure che sembrano avere un poco più a che fare con la vita “terrena”. Idoli nazionali, o capri espiatori, che continuano a farla franca nonostante un malcontento che diventa sempre più simile a uno stato di abulia endemica, insita nel dna dell’Italia che cresce. Anzi che decresce, e non in maniera felice come teorizza qualcuno, ma verso il basso. Mentre l’arte sale, sale e sale. Per arrivare a un divino che nessuno conosce, e che probabilmente nemmeno esiste nella percezione comune. Proprio come un conto corrente a otto o dieci zeri.

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