Categorie: Il fatto

Sorry, Mister Chipperfield

di - 3 Marzo 2015
Oggi, mentre gli occhi di mezzo mondo sono puntati su Milano e sulla sua capacità di fare Expo, da quello che sarà il Museo delle Culture, si solleva un nuovo problemino e non da poco. Oltre ai ritardi colossali di una struttura creata dalle “macerie” dell’Ex Ansaldo di via Tortona, e che doveva essere pronta – dopo 15 anni di cantiere e 60 milioni di euro – nel mese di ottobre, si rischia che l’architetto David Chipperfield ritiri la firma del progetto. Perché? La pavimentazione dell’ingresso, posata da un’impresa sotto la direzione tecnica comunale, è stata posata male. Pare che Chipperfield avesse in mente per lo scalone, sotto la cupola di vetro, un effetto scuro, e invece durante gli ultimi sopralluoghi, si sia trovato un effetto maculato. E l’architetto ha messo di mezzo, tra lui e il Comune di Milano, un avvocato. E allora che fare, visto che per il 26 marzo aprono le mostre già schedate, annunciate e incensate, prima ancora di essere in scena, “Mondi a Milano” e “Africa” e non c’è né la possibilità di cambiare i lavori né di spostare le mostre?
“Il Comune – scrive Armando Besio dalle pagine di Repubblica – ha individuato una soluzione di stampo surreale e gesuitico: il 26 marzo il museo verrà “aperto” ma non “inaugurato”. Chiuse le mostre, tra luglio e agosto, si procederà con i lavori di adeguamento chiesti da Chipperfield”.
E così il museo si chiuderà di nuovo, sicuramente per alcuni (quanti?) mesi. E poi c’è dell’altro: all’ex Ansaldo, causa il ritardo nell’assegnazione dell’appalto, devono ancora arrivare gli arredi. Una bella gatta da pelare, per usare un eufemismo.
Inglese, nato nel 1953, diploma all’Architectural Association di Londra, ha lavorato per Douglas Stevens, Richard Rogers e Norman Foster prima di fondare, nel 1984, i suoi studi presso i quali attualmente lavorano più di 100 architetti di diverse nazionalità, nelle sedi di Londra e Berlino. Direttore della Biennale Architettura del 2012 e uomo elegante, che ha fatto della sobrietà il tratto caratteristico non solo della sua immagine, ma soprattutto di quella dei suoi edifici. Chipperfield, nel 2004, è stato nominato “Commander of the British Empire” per essersi distinto nel campo della progettazione architettonica, e l’anno prima era stato nominato Membro Onorario dell’Accademia delle Arti di Firenze.
Ma la storia dell’architetto con l’Italia non è particolarmente rosa, nonostante il progettista ci abbia messo le mani a più riprese, specialmente nella metà degli anni ’00, quando sembrava che la penisola dovesse rinascere sotto un nuovo profilo architettonico – uno dei tanti rinascimenti che avrebbero dovuto esserci – e poi non se ne fece nulla. Questioni di appalti, ditte fallite, tangenti.
Il caso di Milano è infatti solo l’ultimo di una serie di altri “problemi” tricolore. Nel 2007, a Venezia, era stato inaugurato il Cimitero di San Michele. Il progetto di Chipperfield era stato messo in opera dalla società Sacaim. Solo 5 anni dopo, un tempo brevissimo per un camposanto, la struttura aveva iniziato a dare strani segnali: dai loculi “colava” liquido. Non c’è bisogno di tante spiegazioni: la tenuta stagna della struttura non era stata fatta a regola d’arte, e nell’anno della direzione della sua Biennale, i pellegrinaggi alla sua struttura da parte dei visitatori in cerca anche delle tombe di personaggi illustri della musica e della letteratura come Ezra Pound o Igor Stravinskij, si erano interrotti per questi poco piacevoli effluvi d’oltretomba, è proprio il caso di dirlo. Andiamo avanti, più a Sud, dove la Cittadella Giudiziaria di Salerno è ancora in corso di completamento, dal 2003. Oltre al progetto architettonico doveva esserci anche una sezione artistica, e insieme all’architetto avrebbe selezionato le opere permanenti Achille Bonito Oliva. Il costo totale della struttura? 90 milioni di euro. Attualmente però la Cittadella, la cui idea era stata concepita alla fine degli anni ’80 dall’Amministrazione locale, non è in uso, anche se sono state consegnate nel 2014 le prime tre delle otto palazzine preventivate. E i costi, come ben si accorda a queste occasioni – e non di certo per colpa dei progettisti – sono destinati a lievitare.
Inutile dire che, almeno su Milano, qualcosa dovrà essere fatto, anche dopo questo benedetto Expo. Almeno per salvare la faccia. «Da un lato non vedo l’ora che sia il primo maggio per inaugurare, dall’altro ogni giorno c’è un problema e quindi sale l’ansia da apertura, perché vi è ancora molto lavoro da fare», ha dichiarato in queste ore l’Amministratore Unico di Expo Giuseppe Sala. Non avevamo dubbi, davvero.

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