Categorie: lavagna

UN RICORDO

di - 13 Gennaio 2018
Si potrebbe forse considerare oggi l’opera di Mauro Staccioli meno in linea con il cosiddetto social turn delle pratiche artistiche in merito al rapporto tra l’arte e lo spazio della città e, invece, la sua scultura è politica. È stata profondamente politica. L’invito a pensare alla socialità come a una dimensione assimilata e restituita attraverso il segno va inquadrato negli anni Sessanta e Settanta, quando l’argomentazione sul ruolo della scultura in Italia contesta l’approccio cosmetico alla città per abbracciare la crisi dello scenario urbano e il tema dell’espropriazione della memoria. La posizione di Mauro Staccioli si consolida nel contesto sociopolitico dello sviluppo contraddittorio del paese, che esercita una violenta pressione sugli spazi urbani, dai nuclei storici alle nuove periferie. Ora la scultura, non solo per Mauro Staccioli, calibra la funzione da assumere nella dimensione sociale della città. È stato più volte ricordato l’impegno politico dell’artista, ma nodale è il passaggio dalla militanza alla poetica che gli fa portare l’onere della responsabilità dentro il segno. Il mio primo incontro con Mauro Staccioli si è trasformato in un’intervista, poi pubblicata nel 2001 (nel volume “Milano città d’arte. Arte e società 1950- 1970”), e sulla presa di distanza dalla stagione militante mi disse: «Ribaltai allora quello che era il mio riferimento di quegli anni: non partii più dalla politica per arrivare all’arte, ma dall’arte per arrivare alla politica».

Mauro Staccioli – Piazza Duomo ’08 – 2008 – ferro – cm 1020x1020x90

Le sue riflessioni sulla articolazione politica del linguaggio come forma di partecipazione civica mi sono sempre sembrate illuminanti e credo possano riverberare ancora sulla scena delle pratiche urbane. Anche per questo voglio ricordare Mauro Staccioli, persona di indiscutibile intelligenza, umanità e coerenza. La storia del suo lavoro può anche aiutare a delineare una via italiana del rapporto tra la pratica artistica e la città in una prospettiva storica. L’artista condivide con altri autori una concezione della scultura come elemento non pacificante. Il segno plastico diventa un agente dissonante che fa leva fisica ed emotiva sul corpo del singolo e della città. Tale dispositivo di allerta nasce bellicoso, per Staccioli, nella dura Milano degli anni Settanta, ad esempio con gli Anticarro (1970-71). Si fa segnale puntuto a Volterra nel 1972 e poi nel 1973, in occasione di quella esperienza notevole che è stata Volterra 73 con Enrico Crispolti. Il catalogo di Volterra 73 riporta una dichiarazione emblematica dell’artista rilasciata per il servizio RAI sulla mostra: se «La città è un accumulo di violenza – dice Staccioli – la scultura deve metterne a nudo la durezza». A Volterra, i pali e le piramidi materializzano l’idea della barriera, testimoniando il sentimento di una condizione storica. Il farsi carico della frantumata memoria della città storica marca la distanza tra Mauro Staccioli e le coeve esperienze americane. Questo aspetto del suo lavoro fa luce su una via delle esperienze artistiche del nostro paese nel rapporto con la città che sceglie di misurarsi con luoghi storici in crisi, compromissioni del paesaggio, emergenze sociali, modernizzazioni fallite. Il lavoro di Mauro Staccioli è una chiave per comprendere come anche in Italia il modello delle drop sculpture e delle “mostre di scultura in città” si sia intrecciato con altre concezioni che hanno spinto verso la nozione di urbano processuale e performativo, sottraendo il tessuto storico alla cristallizzazione e incrociando le distorsioni che hanno connotato l’urbanizzazione e la gestione dell’ambiente naturale e storico in Italia. Emerge dagli interventi dell’artista questa precisa funzione delle scultura. La forza del segno è traumatica, critica, destabilizzante. Mauro Staccioli ha proposto una politica del segno come elemento che agisce sulla coscienza, chiamando a interpretare la nozione di partecipazione in senso complesso. Il suo lavoro ricorda che mettere un segno nello spazio della città non può mai essere un’operazione neutra.
Alessandra Pioselli

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