Domenico Mennillo, "Hypno-Menmata", installazione-performance, sala Assoli, Napoli 2020; photo by Salvatore Pastore
Fare spazio sulla superficie della scrivania, accantonare oggetti che, per il momento, possono anche essere persi di vista, per far posto a una nuova linea prospettica. Con il ripiano sgombro, con i pensieri appianati, disporre i fogli nell’ordine dal quale sono emersi dalla cartellina di grana grezza, tasselli perlacei in formato A4 dai quali spiccano, come una partitura granulare, sabbiosa, i filari dei caratteri mobili impressi a caldo. La scrittura è una materia preziosa, soprattutto quando concede una forma organica, coerente, leggibile, armonica a quegli eventi realmente accaduti nel quotidiano degli individui e sovrapposti nello scorrere delle memorie. Nel caso del Buch Der Freunde – pubblicato a febbraio 2021 da edizioni morra/e-m arts – si tratta poi di decine di trame, elegantemente ordite da Domenico Mennillo a partire, o meglio, a latere, come una scia parallela, nel corso di “LunGrabbe”, progetto dalla durata ventennale, svoltosi in gran parte sul vasto e stratificato territorio di Napoli, suddiviso nel “Teatro dell’Architettura”, dal 2001 al 2009, e nell’ “Abrégé d’Histoire Figurative”, a partire dal 2010.
«L’interesse centrale di tutto il lavoro realizzato da lunGrabbe in venti anni di attività è lo spazio inteso come architettura, come costruzione-artificio a cui l’uomo delega la funzione dell’abitare, del mettere a dimora la propria vita in comunione con altri simili/diversi da sé», scrive Mennillo nel “Paradgima” introduttivo. Lo spazio quindi, da quello del teatro a quello urbano e viceversa, la sua estensione tutt’altro che pacifica, anzi, letteralmente irregolare, folgorata da canoni estetici, progetti e teorie, giochi e crisi. Un tema investigato da Mennillo in tutte le sue sfumature teoriche e pratiche, seguito nelle sue diramazioni inaspettate, tra filosofia e meraviglia. Notizie, avvenimenti, composizioni, pièce, performance, dialoghi, nomi, contributi, che si incrociano sul filo di un tempo che ha trovato finalmente un ordine ripercorribile, con diversi fascicoli slegati, da custodire in un cofanetto ragionato. Ma è l’azione stessa di aprire questo archivio, di svelarne le coste, di disporre i fascicoli su una scrivania sgomberata, a segnare la prima pagina virtuale di un ulteriore ciclo. A sparigliare le carte per trovare un nuovo filone di indagine, una investigazione di ciò che è stato, ricostruendo un nuovo percorso tra le tracce, come una inedita archeologia delle vestigia architettoniche lasciate da quegli eventi e dalle persone che li hanno attraversati.
L’ordine numerico, con le relative intestazioni: I. Trilogia del Teatro d’Architettura; II. Discorso sull’impossibilità del Teatro di offrire il meglio di sé al di là della rappresentazione + LudiMagister; III. Andromaca. Opera Neoplatonica in IV stanze ricreative; IV Opus Infectum. Poema-Concerto; V. Pierrot ou d’Automate Spirituel; VI. Alcune Architetture di Napoli; VII. Atlante della Fertilità; VIII. Hypothesis for Expanded Super Theatre; IX. WLK – Wunder_Litterature_Kammer; X. Abrégé d’Histoire Figurative. E poi Note, Teatrografia e Museografia di riferimento, tre Appendici, Bibliografia e Biografie degli autori.
E ora, sullo spazio della scrivania, i fascicoli prima ordinatamente disposti cambiano ordine, un paesaggio inedito scandisce la legittima aspettativa, l’uno viene dopo il 10, le pagine si sfogliano rapidamente – assaporandone la consistenza come una prova di esistenza – e poi ci si sofferma su alcune parole, sulla scenografia degli spazi lasciati, sugli accapo, cogliendo le citazioni e ampliando l’attenzione, focalizzando l’intuito su ciò che sembra ritornare da una parte all’altra, tra dimensioni verticali e orizzontali, in una sfida di ruoli tra investigatore ed enigmista.
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