Marzia Migliora. Sette mostre immaginifiche, a cura di Anna Cestelli Guidi e Matteo Lucchetti, NERO Editions, 2025
«Tout ce que j’ai fait d’important pourrait tenir dans une petite valise»
Quando a metà Novecento Marcel Duchamp realizzò la sua prima Boîte-en-valise (Scatola in una valigia), l’obiettivo era quello di raccogliere l’intero corpus di opere in un catalogo fuori dagli schemi: un insieme di riproduzioni che si configurasse come un vero e proprio museo portatile, andando così a rompere l’impostazione canonica della narrazione monografica. La stessa strada, pur restando nel formato tradizionale del libro cartaceo, viene intrapresa da Anna Cestelli Guidi e Matteo Lucchetti con Marzia Migliora. Sette mostre immaginifiche 1993-2024, la nuova monografia edita da NERO Editions che ripercorre i trent’anni di ricerca dell’artista piemontese. Anche in questo caso, il percorso creativo di Marzia Migliora non viene sviluppato per mezzo di un arco temporale lineare, ma secondo una struttura verticale e immersiva. Il libro, pur nella sua natura oggettuale, rivela così una sorprendente capacità di adattarsi alla logica fluida e reticolare del digitale, delineando possibili paesaggi di una realtà virtuale, in cui le scelte curatoriali si muovono liberamente, oltre i confini spazio-temporali e le rigide normative dettate dalle soprintendenze e dalle architetture. Il volume si articola in sette mostre, immaginate da altrettante curatrici e curatori, allocate in sette posti diversi, che contribuiscono a restituire una mappa personale dei luoghi di Migliora.
Le radici di questo racconto per immagini, affondano nella terra fertile della campagna di Valenza, in provincia di Alessandria, dove l’artista è nata. Qui Maja e Reuben Fowkes allestiscono Germinal, la mostra cucita su misura per la cascina di famiglia, incentrata su temi quali l’agricoltura, il contesto rurale e famigliare, e gli effetti dannosi dello sfruttamento del suolo. Con Prey, curata da Andrea Viliani, si torna in città, a Torino, dividendo l’esposizione tra due istituzioni museali: il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso e il Museo della Frutta Francesco Garnier Valletti, per ragionare sul museo come dispositivo classificatorio occidentale, paradigma del pensiero positivista che mette in luce la natura predatoria dell’essere umano.
Nicoletta Leonardi e Francesca Comisso ci portano a Fontanellato in Emilia-Romagna, il comune che ospita l’unica camera ottica ottocentesca ancora funzionate in Italia, per visitare Ad occhi aperti! il progetto incentrato sui sistemi di percezione visiva. Attraversando il mare approdiamo all’Isola di Capraia e alla Casa di Reclusione ormai abbandonata, in cui Diana Campbell porta i lavori di Migliora che riflettono sul sistema carcerario e sul concetto di comunità.
Da qui, il viaggio prosegue per l’isola che si protende verso la punta dello Stivale senza mai toccarla: la Sicilia. Dal futuro, di preciso il 2036 (e poi il 2037), Matteo Lucchetti racconta del presente che ci aspetta quando il cambiamento climatico avrà calato la sua falce sulla Terra. Il paesaggio non è distopico, ma più che mai reale poiché già presente, arido e desolato. Nel buio delle miniere di salgemma a Racalmuto e a Petralia Soprana, si esplora la fame rapace che ha caratterizzato l’essere umano in secoli di speculazione capitalista senza limiti, esaurendo le risorse del pianeta e la dignità lavorativa. Un’insolita guida è quella che accompagna noi e la curatrice, Anna Cestelli Guidi, per il Grande Cretto Gibellina realizzato da Burri dopo il terremoto del Belice, si tratta di un cirneco, il nobile cane da caccia abituato a muoversi sui terreni vulcanici dell’Etna.
Se con Canto libero il focus si sposta sulle opere che si sono occupate del genere femminile e delle lotte di emancipazione dalla cultura patriarcale, con Everything will be taken away, la settima e ultima mostra coronata da una lettera dell’artista e amica Adrian Piper, il cerchio si chiude tornando a Torino, nella casa in cui Migliora ha vissuto fino a poco tempo fa. Come personaggi di un racconto, vaghiamo attraverso questi luoghi, attratti dal suono delle voci narranti che ci tengono sospesi nella dimensione del sogno, ma memori di un insegnamento che ci radica al suolo e ci riporta alla terra che abita ognuno di noi. Come diceva Duchamp non servono quindi grandi spazi per custodire le tracce del proprio lavoro, basta solo una piccola valigia, o un libro in questo caso, aperto all’immaginazione.
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