Questo testo del 1937 si presenta ancora oggi quanto mai attuale per via dell’immediatezza e della vitalità che caratterizzano l’approccio alla realtà circostante.
Robert Byron (1905-1941) attraversa i luoghi dell’arte e della memoria tra Persia e Afghanistan con lo spirito dei grandi esploratori dell’Ottocento e la grazia disinvolta di un vedutista alla ricerca di scorci da ritrarre ad acquerello. Uomo colto e dotato di spirito, Byron viaggia alla ricerca delle testimonianze del passato non tralasciando di rilevare le contraddizioni del presente. Il libro, tecnicamente, si definisce come un diario di viaggio, ma ciò che conquista il lettore è il piglio brillante con cui l’autore riporta le sue impressioni di attento osservatore della natura umana non meno che delle testimonianze archeologiche. Sia quando parla dell’arte Moghul che quando commenta, con stile rigorosamente british, le bizzarrie esterofile dello Scià Reza Pahalavi, Byron incanta con la sua prosa asciutta e sorprendentemente moderna. Il racconto dei suoi spostamenti a bordo di camion sgangherati, sempre en panne, o dei pernottamenti in caravanserragli antichi come le strade da lui percorse, è affascinante quanto la descrizione delle meraviglie di Isfahan e di Herat.
Un viaggio avventuroso lungo un itinerario che comprende le testimonianze di uno dei periodi più floridi per l’Asia centrale: il Rinascimento timuride. Tamerlano, Shah Rukh, Goar Shad Begum, uomini e donne innamorati del piacere di vivere, i “Medici d’Oriente”, come li definisce l’autore, seppero conciliare, sia pure per un breve periodo, il consolidamento di un potere basato sulla fede islamica con un vero e proprio umanesimo e un raffinato mecenatismo. D’altra parte l’interesse di Byron non si limita all’architettura del quindicesimo secolo, ma percorre le tracce di tutte le diverse dominazioni: dall’impero Achemenide con le vestigia di Persepoli, alla dinastia Sasanide le cui testimonianze archeologiche, all’epoca scarsamente conosciute, “documentano un oscuro periodo della storia alla congiunzione tra il mondo antico e quello moderno”; dalle prime dinastie islamiche, Omayyadi e Abbasidi, agli invasori di lingua turca che, convertiti all’Islam, regnarono tra crudeltà e splendore fino all’avvento dei Safavidi.
L’edizione Adelphi riporta in apertura il saggio di Bruce Chatwin, Lamento per l’Afghanistan, scritto come introduzione all’edizione Penguin di “La via per l’Oxiana”.
Pietro Gaglianò
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