Un corpo giace immobile, sdraiato
a terra, nudo. Potrebbe esser asessuato o, meglio, fusione perfetta di sessi, in
una posa simile all’
Ermafrodito dormiente del Louvre. Un fascio di luce verde lo rende
l’unico elemento illuminato nello spazio espositivo, disegnando sulla pelle e
intorno al corpo una morfologia vegetale.
Appare sullo sfondo una natura
incontaminata, popolata da una fauna fantastica e inoffensiva, alla quale si
unisce il suono degli uccelli e del vento che muove le fronde. Un ambiente
naturale, nel suo stato originario, che entra in simbiosi con l’essenza stessa
della vita, colta nel movimento lento indotto al corpo dalla respirazione.
Appena visibile nella semioscurità,
all’angolo opposto si dispone una fascia, come se fosse una metopa nella
trabeazione d’un tempio classico. Sulla sommità delle pareti che s’incontrano
perpendicolarmente, numerosi corpi di uomini e donne si accostano gli uni agli
altri. L’inquadratura, limitata al solo tronco, ne rivela la totale nudità, ma
li lascia privi d’identità.
La personale
In hoc tempore di
Francesco Insinga (Catania, 1970), secondo
appuntamento della rassegna
Non lo so e non lo voglio sapere della stagione espositiva della
Galleria Marconi, si configura come un lavoro complesso ed è realizzata in
collaborazione con la Galleria White Project di Pescara.
Dietro un pesante sipario scuro si
trova la sala principale, dove all’intervento vero e proprio, costituito dalle
immagini fotografiche applicate direttamente sul muro, si è unita la performance
realizzata in occasione dell’inaugurazione, con la partecipazione di un modello
e un’installazione sonora e luminosa.
Il fruitore, all’interno dello
spazio, è avvolto da un flusso temporale dinamico. Si percepisce una sorta di
sfasatura, in cui il momento presente risulta assente e passato e futuro si
trovano in costante sovrapposizione. Di fronte all’osservatore si materializza
la visione di un eden incorrotto. Un’immagine di rinascita, gravata da infiniti
rimandi al già noto. Una sensazione che si ripete nel voltarsi, osservando
l’umanità varia immortalata dall’artista. Un insieme multietnico che esibisce
imperfezioni e difetti propri della natura umana.
Le pellicole trasparenti che
avvolgono i corpi e li stringono fra loro ribadiscono la necessità delle
relazioni fra individui. Legami cercati per dar senso all’esistenza, che si
rivelano però essere la principale fonte di sofferenza. L’umanità si manifesta
con tutte le sue contraddizioni. Le nuove impronte finiscono inevitabilmente su
quelle vecchie. Le premesse per il futuro, in questo tempo, non riescono a
concretizzarsi nel nuovo.
Un percorso racchiuso nelle
immagini esposte all’esterno della sala principale. Vi è un forte richiamo alla
storia dell’arte in questi scatti, dall’eloquente struttura compositiva: maternità,
lotta, morte. E l’esistenza si dispiega nel suo inesorabile divenire.