Palma il Vecchio, Venere, 1529. Courtesy of Lempertz
C’è un’opera di Palma il Vecchio tra gli Old Masters di Lempertz. Una Venere sensuale, ben conservata, che l’inventario post mortem dell’artista descriveva come «un grande dipinto su tela con un nudo quasi finito». Sfilerà il prossimo 5 giugno all’asta di Colonia, con una cifra compresa tra 600.000 e 800.000 euro.
La Venere di Palma il Vecchio è distesa, nuda, erotica, incredibilmente umana nella sua ostentata carnalità – proprio come la Venere dormiente di Giorgione (1508-1512), oggi a Dresda, o la Venere di Urbino di Tiziano (1538), custodita agli Uffizi. La fonte comune? Secondo gli esperti, andrebbe rintracciata nell’Hypnerotomachia Poliphili del 1499, il testo neoplatonico stampato a Venezia da Aldo Manuzio che introdusse un approccio iconografico tutto nuovo per l’inconfondibile dea dell’amore.
«La vera innovazione intrinseca del dipinto», spiegano dalla casa d’aste, «risiede nel fatto che la Dea è completamente sottratta alla cornice narrativa e in totale distacco dalla tradizionale rappresentazione della Venere. Inoltre, l’aggiunta di elementi come la pettinatura di perle, gli anelli nuziali e il velo – allegoria della donna che offre la sua purezza – e il suo sguardo verso l’esterno, e in particolare a suo marito e committente, la portano al XVI secolo invece di limitarla alla mitologia lontana. Una Venere che si presenta apertamente come sposa».
Un’opera ottimamente conservata, dicevamo, con tanto di cornice originale realizzata da Mastro Jacopo da Bergamo, amico di Palma. La riflettologia infrarossa testimonia non solo l’eccezionale stato di conservazione del dipinto, ma anche gli iconici pentimenti dell’artista, con la posizione delle gambe che, in una versione precedente, apparivano più distese. Il soggetto, inoltre, rimanda all’olio su tela custodito al Fitzwilliam Museum, Venere e Cupido (1524 ca), con Venere distesa sull’erba mentre gioca con Amore, in una posa incredibilmente simile a quella dell’opera offerta da Lempertz.
Ma non è tutto, perché il curriculum espositivo della Venere conferma lo straordinario valore del dipinto: la tela è stata esposta a Londra nel 1930, tra gli Italian Paintings della Royal Academy, al Kunsthistorisches Museum di Vienna, nel 2007 e, nello stesso anno, alla mostra di Tokyo sulla Pittura Veneziana da Tiziano a Longhi. Appartenne, tra gli altri, ad Arthur Hamilton Lee, Visconte di Fareham, al Conte Antoine Seilern, stimato storico dell’arte, e persino a Sir Paul Getty, tra i più grandi collezionisti di sempre, che ne restò ammaliato; andò poi all’asta da Christie’s, nel 1980, e da lì confluì in una collezione privata, dove – secondo la bibliografia – sarebbe rimasta fino ad oggi. Appuntamento al 5 giugno, da Lempertz, per scoprire la sorte di un vero capolavoro.
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