“Lui che poteva scrivere, scrivere così bene col disegno e coi colori, sapeva benissimo che per lui scrivere con le parole era come non scrivere affatto”. Così dice, di Picasso, Gertrude Stein in un bel libricino del 1938, cogliendo perfettamente la segreta affinità che a volte avvicina il disegno più alla scrittura che alla pittura.
Anche Leonardo, del resto, definiva il disegno cosa mentale, pura e immediata estensione del pensiero, che nero su bianco – carta e inchiostro – si sgroviglia in parole o in figure. Figure come gli ormai celebri topi (ma quanto umani!) di Art Spiegelman, il geniale autore di Maus, “favola nera” a fumetti sulla tragedia dell’Olocausto, e primo “libro disegnato” ad aver vinto il premio Pulitzer. La gall
Del disegnatore americano – che Paul Auster nell’introduzione al volume definisce “un provocatore con un particolare talento per l’umorismo nelle sue incarnazioni più selvagge e pungenti” – colpisce l’ironia a volte caustica a volte surreale – un pupazzo di neve contempla, in un manifesto, un’invitante e svestita donnina di neve con la scritta “Hot! Hot! Hot!” – e spesso si sorride di fronte a tanti brillanti paradossi e invenzioni, ma un’ombra minacciosa, come quella nera di un aereo da guerra ritagliata nel cielo azzurro dell’Afghanistan, incupisce i nostri pensieri.
Difficile non riconoscere il tratto, lo “stile” di Spiegelman, difficile soprattutto non riconoscervi un valore propriamente letterario, come anche la storia della galleria Nuages pare suggerire, almeno a giudicare dalle precedenti esposizioni, spesso parallele a interessanti iniziative editoriali come la pubblicazione delle tre Cantiche della “Divina Commedia” illustrate da Mattotti, Glaser e Moebius, delle Favole di La Fontaine coi disegni di Folon, o delle Lettere dall’Africa di Rimbaud con le illustrazioni di Hugo Pratt.
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andrea tomassoli
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