La lunga sequenza d’apertura del film La Notte, diretto da Michelangelo Antonioni, mostra –a far da sfondo ai titoli di testa– l’immagine di una Milano anni Sessanta che si specchia nelle vetrate del grattacielo Pirelli, svettante guardiano della città in espansione. Erano gli anni in cui, dalle ceneri di un’epoca spenta con la guerra, la vita civile imprevedibilmente si risvegliava, mutando in breve tempo la vecchia città distrutta in una vivace metropoli contemporanea nella quale design e moda, architettura e industria vicendevolmente si alimentavano.
L’esposizione Milano la fabbrica del futuro, allestita allo Spazio Oberdan a conclusione del progetto “Specchio d’Europa”, racconta come in appena un ventennio –dal 1945 al 1965- la dolente umanità fotografata da Mario De Biase all’indomani dei bombardamenti abbia saputo con alacre prontezza rimettersi all’opera dando vita a uno dei periodi più esaltanti per Milano e per l’Italia: nasceva allora la televisione,
Ed è proprio lo sguardo del cinema a rivelare, con felice intuizione, i conflitti umani e sociali attraverso i conflitti del paesaggio: ne La Notte la stanca relazione tra Jeanne Moreau e Marcello Mastroianni si estenua in un ardito intrico di linee urbane che sta per cancellare, inavvertitamente, l’antico aspetto della città, e il volo a cavallo di una scopa nel film di De Sica sintetizza in una sola immagine lo slancio poetico e creativo con cui il cinema italiano superava il neorealismo e l’Italia usciva dalla dolorosa crisi postbellica.
Il magnifico avamposto di conquista degli anni sessanta e settanta, insomma, si può definire, oggi, un tenace avamposto di resistenza. E non è poco.
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