A Sarajevo, sua città natale, la Bajevic inizia gli studi di belle arti che conclude a Parigi grazie ad una borsa di studio. Il trasferimento a Parigi avviene poco prima dello scoppio dei recenti conflitti in ex Jugoslavia e per questo motivo il soggiorno francese è vissuto come una sorta di involontario esilio.
Condividendo il destino ed il vissuto del suo popolo, anche Maja Bajevic interiorizza l’esperienza traumatica della guerra rielaborandola successivamente nell’evento artistico.
I temi ricorrenti nel lavoro dell’artista rispondono alle peculiarità dei conflitti slavi: oltre alla guerra ed alla conseguente perdita luttuosa di luoghi, affetti e consuetudini, anche la pericolosità delle singole identità nazionali, laddove sfocino in nazionalismi tesi a prevalere gli uni sugli altri.
Nelle due attuali esposizioni milanesi, Maja Bajevic sollecita emotivamente il pubblico proprio sul tema dello sradicamento conseguente alla perdita della propria casa e sul tema dell’identità collettiva ed individuale.
In Avanti Popolo, esposta in Via Farini, lo spettatore si aggira tra una serie di lettori CD sparsi nel medesimo spazio frastornato da un suono confuso riconducibile al sovrapporsi di circa trenta inni nazionali e canti popolari emessi dalle singole fonti sonore: dalla “Marseillaise” a “God bless America” attraverso innumerevoli canti slavi, fino, appunto, ad “Avanti Popolo”.
Alle pareti un’immancabile bandiera ed alcune fotografie di persone intente ad intonare quasi con orgoglio e senso di appartenenza il proprio inno; lungo la stanza un intrico di prese e fili che conducono agli apparecchi stereo: questo ciò che si vede.
In Green, green grass of home alla galleria Artopia un video propone l’artista ripresa in un campo verdeggiante intenta a descrivere il suo appartamento di Sarajevo attualmente occupato dagli “stranieri” ed i tentativi falliti ai fini della legittima riappropriazione. Il corrispettivo di questa descrizione filmata è il disegno della piantina di questo appartamento eseguito da Emmanuel Licha su una delle pareti della galleria.
Alcune fotografie appese rappresentano ciuffi d’erba intrecciati come capelli, tesi, probabilmente, a ricondurre l’attenzione al significato della terra, luogo simbolico del corpo che porta con sé il trauma collettivo di un popolo.
Abbastanza interessante il sovrapporsi del tema della casa all’interno di uno spazio, quello di Artopia, destinato al duplice contemporaneo utilizzo abitativo ed allestitivo.
In generale la visita alle mostre suscita, ovviamente, un profondissimo rispetto per il dolore interiore dell’artista e l’immediata riflessione sul drammatico vissuto delle popolazioni dell’ex Jugoslavia e sulla portata di ogni singolo conflitto sulla vita del singolo individuo coinvolto.
Al di là di questo è molto difficile percepire la linea di confine tra la testimonianza emotiva e l’evento artistico; o meglio: ci si chiede che cosa si debba intendere oggi per “evento artistico” e se ogni forma di comunicazione, per quanto commovente, possa rientrare nella categoria.
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Elena Demartini
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