Per la sua prima personale presso la galleria di via Viganò,
Andrea Sala (Como, 1976; vive a Milano e Montréal) allestisce una mostra calibrata, puntuale e fortemente poetica che, partendo da diversi riferimenti culturali e artistici, si snoda come una
promenade architecturale.
Il titolo dell’esposizione,
Plays Chancey Gardener, si riferisce al film del ‘79
Being There del regista americano “maledetto”
Hal Ashby. Nel film il giardiniere, indelebilmente interpretato da Peter Sellers, si trova da un giorno all’altro sbalzato in un ambiente che non conosce, e il suo sguardo candido si affaccia su un mondo che è invece portato a vedere ciò che vuole piuttosto che ciò che è. Questa purezza dello sguardo è riconducibile a quello dell’artista, che trasla le forme dell’architettura in opere che hanno la stessa levità del film-favola di Ashby.
L’artista, che da sempre ha proiettato la propria ricerca artistica in un dialogo fittissimo di riferimenti alla forme del design, anche in quest’occasione ha costruito ogni singola opera attorno a un’attenta analisi degli oggetti, indagandone con sguardo profondo e a tratti scientifico le possibilità intrinseche e remote. Dai risvolti più decorativi a quelli inespressi degli oggetti che, sottratti alla loro funzionalità e alla loro scala originaria, si consegnano ora come cose nuove, libere di reinventare e sollecitare nuovi interrogativi.
Come nel caso delle sculture pensili
Fiorito che, prendendo in prestito le linee dei tavoli di uno dei maestri del design,
Angelo Mangiarotti, diventano appunto fiori marmorei e curiosi artefatti.
Nel caso di
Anonimo Brasiliano, la struttura in palissandro sembra aprirsi e svolgersi nello spazio come una forma vivente, benché mutuata dal modulo razionalista. Ma non solo, perché lasciandosi trascinare dal gioco dei rimandi e delle citazioni, oltre a quelle che hanno direttamente ispirato le opere (i vari designer e architetti di cui Sala conosce capillarmente la produzione), appare chiaro come l’artista sia estremamente cosciente delle lezione dell’arte povera e del minimalismo, senza che questo si produca mai in sterile citazionismo, quanto piuttosto in una disinvolta attitudine che gli permette di “giocare” con quelle forme e con quelle esperienze. Senza mai travisarne il senso e la memoria, ma conferendo loro nuova vita e nuove possibilità.
Nell’esaminare ogni lavoro, ci si accorge inoltre di come Andrea Sala sia estremamente consapevole delle individuali caratteristiche dei materiali, che utilizza per costruire le sue opere: l’alternanza di superfici specchianti e opache, materiali freddi e caldi, i colori, e le forme sospese tra peso e leggerezza. In tal senso, ogni lavoro esprime sulla sua pelle una propria “personalità” che l’artista, come un abile giardiniere, ha saputo accostare e curare. Creando un giardino architettonico interno che merita una visita attenta e senza fretta.
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