Delicatamente tutto è svelato. Spazi intimi dell’universo dell’artista si mostrano senza reticenze, senza timidezza. Non si tratta semplicemente di poetica o di arte, si tratta della vita stessa rivelata sommessamente dall’unica persona che può raccontarla. Chi l’ha vissuta. Ma non è un vero e proprio racconto, ordinatamente delineato dal narratore, è piuttosto uno spazio emozionale in cui sensazioni intime vengono percepite e vissute senza essere spiegate.
Il lavoro di Marta Dell’Angelo potrebbe facilmente definirsi come racconto personale se alla base avesse un’intenzionalità narrativa, ma questa manca. Le sue opere sono frammenti intimi che esulano dalla possibilità di essere allineati seguendo il filo di una storia. Sono sguardi sul proprio corpo, sguardi molto attenti che ascoltano ciò che il corpo fa sentire. E il corpo è il tramite attraverso cui il mondo esterno e il mondo interiore dialogano.
Le forme, sempre in un certo senso monumentali eppure discrete, diventano il simbolo non tanto di una dimensione esistenziale bensì di una sfera privata e non per questo unica. Trapela sempre una sensazione di vicinanza, di partecipazione, di comunione quasi magica, che fa sentire come nostre le emozioni altrui. Forme che hanno la stessa forza di quelle del tardo Michelangelo, ma non la stessa prepotenza; forme sicure, salde che racchiudono e nello stesso tempo mostrano uno spazio intimo, privato.
E questo può dirsi per tutti i lavori dell’artista, qualunque sia la tecnica utilizzata. Non solo per le grandi tele della serie Cariatidi, raffiguranti corpi di donna sicuri del proprio essere e della propria intimità –solo corpi appunto perché la testa è stata tagliata- ma anche per i bozzetti e i piccoli disegni appesi alla parete, a comporre un mosaico personale dove ogni frammento è un ricordo, un’esperienza, un significato. Lo stesso vale per le piccole fotografie che raccontano scene di boxe a Coney Island: immagini così piccole, nell’immenso biancore della parete, che costringono l’osservatore a farsi vicino fino a scoprirle in ogni dettaglio.
Ché poi, a dispetto di tutta quest’intimità svelata, il volto rimanga invece quasi sempre celato, anzi tagliato fuori dalla tela o dall’inquadratura è un dato che, da una parte, può essere semplicemente letto come il risultato di una prospettiva “in soggettiva”. O forse come l’ultimo angolo di pudore, di privato che l’artista si è riservata di non mostrare.
francesca mila nemni
mostra visitata il 11 dicembre 2004
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