Dopo le provocatorie performance Ambiguitas, Hammam per Istanbul, Bordello, Museo e Obitorio, Storia dell’occhio, Dolore, Zina, Bulbul e la più recente Underground Istanbul, in cui si confrontava con la religione, la politica, la disparità tra i sessi e la morte, Sükran Moral (Terme – Turchia, 1965) ci riprova.
Stavolta ha affrontato il tema della pace in un’azione semplice e immediata. Con Peace… Fucking Fairytale! pone inquietanti interrogativi attraverso il ricordo di antichi orrori di guerra. Il pubblico è stato invitato da sei guardie vestite di nero, che già avevano presidiato l’ingresso della galleria, a entrare in un recinto costruito con pali di legno appuntiti e filo spinato. Una volta rinchiusi tutti gli spettatori oltre all’artista stessa -che già nell’azione Bulbul si era chiusa in una gabbia e, come un usignolo aveva rotto il silenzio cantando una vecchia canzone di origine turca- è stata proiettata sul soffitto della galleria una sequenza di immagini riguardante momenti drammatici di alcune guerre, tra cui quella in Vietnam, in Medio Oriente e nell’ex-Jugoslavia. La serie di fotogrammi, montati con un ritmo serrato in un crescendo di efferatezza, si è trasformata letteralmente in un bombardamento di immagini a cui nessuno dei partecipanti si è potuto sottrarre a causa della condizione forzata di reclusione. Se in Bulbul l’artista, nonostante fosse limitata nella sua possibilità d’azione dallo spazio angusto della voliera, riusciva attraverso la voce e l’energia liberatoria del canto a proiettarsi all’esterno e a relazionarsi con il mondo, in Peace… Fucking Fairytale! non ha concesso nessuna via d’uscita.
Né a se stessa né al pubblico, se non al termine della drammatica visione. Prima di lasciare il recinto, tuttavia, gli spettatori si sono dovuti inginocchiare su un tappeto orientale per poter spiare attraverso un piccolo buco l’incontro tra Gesù Cristo e Maometto, le cui statue erano state precedentemente collocate all’interno di una struttura coperta da un telone nero e adiacente al recinto stesso. Moral non solo ha reso così possibile l’incontro tra due opposte visioni della vita, riunendo il figlio del Dio cristiano e il sommo profeta dell’Islam in un simbolico abbraccio, ma ha anche sovvertito le leggi sacre del Corano che vietano la riproduzione dell’immagine di Maometto.
L’artista ha quindi eseguito una breve performance nella stanza sotterranea della galleria: dopo aver scritto al centro di una delle pareti bianche la parola “pace” con l’impronta delle sue labbra truccate di rosso, ha fatto fissare sopra la scritta una lastra di vetro trasparente e ha terminato l’azione rompendola con un violento colpo di martello. Affiancando contraddittoriamente il tema della pace a quello della guerra e della religione e facendosi beffe di quella pace ormai troppo sbandierata e strumentalizzata, la Moral ha icasticamente proposto un racconto in cui, attraverso la forza della propria identità femminile, si è posta ancora una volta provocatoriamente contro tutte le ipocrisie della moderna società.
veronica pirola
mostra visitata l’8 maggio 2007
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ma che inutilita'