Immagini invase da un barlume quasi irreale. Che le rende sospese nel tempo e isolate da un mondo esterno che forse fa troppa paura. L’intimità del quotidiano che si mescola con la luce fino a diventare una fusione emotiva tra ricordi nostalgici, visione pittorica e tristezza esistenziale. Ritratti quasi istantanei, momenti di vita vissuta caratterizzati da un’intima dimensione affettiva. Uno spazio fermo, immobile e quasi sospeso nel tempo.
È questo il “piccolo mondo antico” rappresentato da Innocente Salvini (Cocquio Trevisago, Varese, 1889-1979), un mondo puro e incontaminato, fatto di spontaneità e antichi valori, ma tristemente velato da una malinconia che quasi ricorda la vita monacale.
L’ampia retrospettiva che Varese dedica a Salvini nasce con l’intento di rivalutarne la vicenda artistica offrendo una rilettura critica di questo artista lombardo, troppo a lungo etichettato come “pittore-mugnaio autodidatta”. In realtà Salvini non è né un macinatore né un autodidatta. L’artista frequenta infatti l’Accademia di Brera e l’Umanitaria, anche se presto -su suggerimento di Siro Penagini, pittore di stampo espressionista e cultura tedesca- abbandona gli schemi tradizionali della pittura dell’epoca per seguire la sua personalissima, quanto anticonformista, vena artistica. La pittura di Salvini, per quanto debitrice della tecnica dei Macchiaioli e del Divisionismo di Previati, dimostra in realtà uno stile personale: nata troppo tardi per le avanguardie europee ma troppo presto per quelle novecentesche, l’espressione artistica di questo pittore rimane al di fuori di scuole e movimenti, distinguendosi da ogni altro realismo italiano dell’epoca.
L’abilità di Salvini è visibile nell’uso cromatico: dai colori del fuoco ai blu acidi su sfondi colorati, le tonalità dei suoi quadri rispecchiano gli stati d’animo dell’artista e creano un’atmosfera malinconica e, a tratti, un po’ cupa.
Dall’iniziale ostracismo degli ambienti artistici, il riconoscimento artistico di Salvini con gli anni cresce fino a rendere il cinquantacinquenne artista una delle figure più importanti e atipiche del secondo dopoguerra. Le sue opere, esposte alla XXV Biennale di Venezia, arrivano persino nei Musei Vaticani, volute dal segretario di papa Paolo VI, il monsignor Pasquale Macchi, recentemente scomparso e al quale la mostra è dedicata.
L’esposizione rispecchia le stagioni creative dell’artista, dal realismo iniziale alle divagazioni espressionistiche degli anni Settanta, dove predominano
roberta vanore
mostra visitata il 23 settembre 2006
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