Né ragione né sentimento. La pittura di Tamara de Lempicka (Varsavia, 1898 – Cuernavaca, 1980) non coinvolge né l’una né l’altro, i suoi dipinti sono innanzitutto decorativi e belli da guardare per l’eleganza dei colori, l’armonia delle linee, le sottili rispondenze ritmiche di una struttura compositiva attentamente studiata. La Lempicka ricercava proprio questo, una pittura non difficile ma “bella”, che piacesse e che si vendesse bene. Per lei un quadro era innanzitutto “una superficie piana ricoperta di colori assemblati in un certo ordine, destinato all’occhio e non alla mente… se la gente vuole pensare deve leggere un libro, andare al cinema o al teatro, un quadro va solo guardato” (Gioia Mori).
Aveva iniziato a dipingere per avere successo e denaro, per riconquistare l’agiatezza nella quale era nata e che la rivoluzione russa le aveva strappato, trasformandola in profuga. Aveva talento e una volontà d’acciaio, ma il talento da solo non le avrebbe assicurato la ricchezza. Sapeva, Tamara, quali erano gli ingredienti giusti per avere successo: charme, grinta, attenzione per la modernità e la capacità di far parlare di sé. Frequentava le classi alte della società parigina, vestiva di seta e cachemire, era trasgressiva e sfrontata; due mariti, un fascinoso avvocato russo e un barone ungherese, una figlia ed una collezione di amanti. Uomini e donne. Un personaggio, insomma.
Uno dei meriti di questa esposizione è quello di aver lasciato in secondo piano il personaggio Lempicka -anche se non mancano fotografie e ricordi della pittrice- per far parlare soprattutto le opere, complice un allestimento sobrio. I fan della pittrice non rimarranno delusi: da Kizette en rose a Jeune fille en vert, ci sono molte delle opere più celebri della Lempicka. Nelle sale di
Gli abiti con il passare del tempo si assottigliano, prima rigide armature (Femme à la robe noir, Irène et sa soeur) si assottigliano e aderiscono totalmente ai corpi, non veli leggeri e fruscianti ma sottili lamiere metalliche che si muovono con la stessa aggressiva energia di chi li indossa (L’echarpe bleue). Lo stile della Lempicka era studiato per avere successo, un “raffinato miscuglio .. di cubismo adattato al gusto borghese e neoclassicismo” (Gillese Néret), figurativo ma non immune dalle suggestioni delle avanguardie in particolare del rotondo tubismo di Léger. I suoi costanti riferimenti erano il ritmo decorativo di Lhote, la linea pura di Ingres, i colori decisi di Pontormo che accendono con improvvisi bagliori una gamma cromatica ridotta dominata dal grigio.
Quasi avremmo preferito che la mostra si fermasse alle opere degli anni Trenta, senza documentare l’ultima fase della pittura della Lempicka, decisamente fiacca, immagini religiose quasi caricaturali e nature morte senza energia. Meglio ricordarla per i ritratti del bel mondo e i nudi provocanti. E anche chi non ritiene che la Lempicka sia da considerare un’artista con la A maiuscola potrà condividere uno dei messaggi della mostra: in anticipo sulla Pop Art fu la prima a cercare di coniugare “cultura alta e cronaca quotidiana”.
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Una mostra esclusiva, eccezionale! Una donna d'oggi...eterea e forte e fragile e passionale e...e...e..e...e.......
A parte il fascino della Lempicka che, da solo, vale tutto il prezzo del biglietto, un plauso va alla curatrice per aver organizzato, in maniera ineccepibile. una mostra veramente splendida.
Imperdibile.