Luoghi selvaggi e incontaminati, in cui la presenza dell’uomo è indesiderata. Intrecci ingarbugliati di fogliame. Labirinti. Atmosfere sottomarine psichedeliche. Scimmiette dalle espressioni antropomorfe…Sophia Schama, di origini bulgare, ma reduce da recenti studi d’arte a Dresda, dove ha potuto approfondire lo studio di una grande tradizione pittorica, costruisce immagini impietose, claustrofobiche. In cui l’occhio dello spettatore si perde alla ricerca di un punto di fuga inesistente. Nel tentativo di individuare, all’interno dello spazio del quadro, un possibile ancoraggio. Oppure l’orizzonte. Poiché il riferimento all’elemento naturale resta esplicito solo in alcune tele di ampie dimensioni nelle quali grossi squali, persi nelle profondità degli abissi più neri, campeggiano in primo piano.
La tavolozza dell’artista, irrispettosa delle regole della verosimiglianza, e la tecnica di stesura del colore ad olio, a campiture piatte –in cui è il rapporto luce/ombra, ottenuto con velature iridescenti, a dare l’impressione del volume nelle figure- creano visioni ambigue. Fino al progressivo annullamento degli schemi compositivi tradizionali e di qualsivoglia aggancio con la realtà. Che si perde completamente nelle opere successive, in cui ogni referente viene abbandonato in favore di astrazioni estreme ottenute appiattendo fino al geometrismo assoluto grovigli fitomorfici, che da rappresentazione di un paesaggio seppur fantastico ed onirico, diventano matasse indefinite di linee, in cui il colore rimane l’unico contatto con l’immagine di partenza. Tuttavia le trame di Sophia Schama non negano il paesaggio. Lo nascondono. Dal fondo delle sue creazioni macchinose sembra emergere la luce. Quella che si scorgerebbe abbattendo le sue
santa nastro
mostra visitata il 9 marzo 2006
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