Nel corso del
Simposio platonico, Aristofane introduce il mito dell’androgino come originaria entità che precede l’esistenza dei sessi maschile e femminile. La superba perfezione di questo soggetto fu punita da Zeus con la divisione; infatti, il termine ‘sesso’ proviene dal latino ‘secare’, cioè tagliare, dividere. La divinità consegnò all’uomo, generato da tale scissione, la tensione alla riunione per riacquisire la completezza.
Nelle opere di
Bärbel Schulte Kellinghaus (Stoccarda, 1965; vive a Berlino) esposte alla Galleria Ala si legge questa forte trazione fra i due sessi. Le
Spherical Forms evocano l’utero, un avvolgente ventre materno, alla cui sommità si scorgono le fessure del corpo femminile: orecchie, vagina e bocca come piccoli fori di ricezione, che invitano delicatamente alla penetrazione come ricongiungimento e ritorno all’unità primordiale. Queste soffici forme sferiche sono raccolte l’una prossima all’altra, componendo un ideale gruppo femminile stretto in un abbraccio protettivo e famigliare.
Per rendere al meglio tale candore, l’artista tedesca ha scelto la lucente porcellana smaltata, in contrapposizione con l’opaco e ruvido intaglio ligneo dei volumetrici e sintetici ominidi che prendono possesso dello spazio fisico della galleria. Tali figure sembrano rappresentare i contrapposti temperamenti maschili. Alcuni compongono piccole comunità d’individui, come quelli della serie
Die Gestauchten e
Liegende: sono figure statiche a un primo approccio, apparentemente pacate; si percepisce appena la tensione, inconsapevole e latente, verso un istintivo desiderio di completamento.
Le piccole sculture sono goffe, arcaiche, in parte menomate, ma fiere nella loro spontanea autenticità. Mentre sculture, della serie
Senza titolo, individuali e polimateriche, sono poste su piedistalli che le ergono a idoli sacri, decorative e piene di vitalità; si espandono fiduciose nell’ambiente, dominandolo.
Entrambe le tipologie rappresentative lamentano un’incompletezza, movente di un impulso verso l’appagamento di tale mancanza; mosse da spinte inconsce, restano ignare dell’insaziabilità di tale desiderio. E fra le vuote pareti sembra riecheggiare il monito del Sileno: “
O effimera stirpe, il meglio per te è assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente”.
Altrettanto importante è la riflessione della storica dell’arte Anna Ewa Dyrko, suggerita dalle menomazioni che l’artista infligge alle sue figure umane, come perenne insufficienza dell’uomo postmoderno in rapporto con la società e con se stesso.
Bärbel Schulte Kellinghaus pare compiere un’evasione emozionale nell’informale fusione delle porcellane smaltate che, ad esempio nella serie
Red and White, amorfe e sintetiche, riconducono a una riflessione sul colore e sull’impossibilità di geometria e ordine implicito. Nel tentativo di dare un senso alle cose.