Due stanze, una rossa, l’altra completamente nera. I colori della passione, dell’amore e della morte. Al centro dello spazio una ballerina in bianco gira su se stessa; sul vassoio che reca in mano c’è la testa del Battista. Nell’aria le note di What a Wonderful World di Luis Amstrong. E’ un piccolo carillon, emblema della storia di Salomè e Giovanni Battista -uniti per sempre nella leggenda da un gesto capitale- e, insieme, emblema della storia del mondo in generale. Un mondo che continua a girare su se stesso; una storia che ritorna continuamente, che parla dell’amore e della morte sempre e irrimediabilmente congiunti.
Grazie ad Ottonella Mocellin (Milano 1966) e a Nicola Pellegrini (Milano 1962) il mito di Salomè rivive alle soglie del terzo millennio, non tanto come mito rivisitato, ma in quanto mito che tocca i grandi temi della vita, di oggi come di allora. In questo forse risiede il più grande merito di questa coppia di artisti, nell’aver saputo scegliere un mito lontano nel tempo ma così vicino al nostro sentire.
Nella triplice proiezione della stanza nera, l’osservatore è continuamente condotto tra differenti realtà, eppure tutte rivelano le stesse emozioni. I due artisti, come su un palcoscenico di teatro recitano la loro storia, parlano della vita, si ascoltano poco. D’un tratto spariscono, rimangono solo le loro parole sussurrate che continuano a vivere in altri contesti, tra la luci di un luna park metropolitano, tra i bancali abbandonati fuori da un supermercato.
Le voci si parlano, delicate, ognuna certa della propria realtà. Due mondi che corrono paralleli senza incontrarsi mai. Lui parla di un mondo più grande, del mondo degli uomini, del potere e delle guerre, ma ogni parola rimane solo una congettura, pura astrazione.
Lei parla di un mondo più piccolo, del suo mondo individuale. Racconta il suo sentire, ma non viene sentita. Allora le due voci si sovrappongono, ognuna continua per la propria strada, lasciando dietro di sé solo il ricordo del suono leggero della parole mormorate e di quel ritornello ironico che ha ancora il coraggio di parlare di un “mondo meraviglioso”.
Raccontano due visioni inconciliabili, si rispondono senza capirsi, eppure forse c’è amore. Anche questa forse è ironia, ancora una volta amara. E l’unico modo per rimanere uniti è stato far tagliare la testa al Battista… What a Wonderful World…
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bellissima mostra, bellissima recensione, complimenti.
julius