Se qualcuno chiedesse di identificare la
società occidentale del secolo precedente con un genere pittorico, la risposta
più frequente sarebbe “Espressionismo”. Ebbe grande successo nel primo
Novecento, si impose, reinterpretato, sulle scene negli anni ‘80 e tutt’oggi
sembra essere il linguaggio più contemporaneo attraverso cui i giovani pittori
si
esprimono.
Un recipiente da cui attingere sempre qualcosa
di nuovo, dai
Fauves alla Brüke e oltre. Quelle figure pasticciate e grottesche,
che portano i segni spontanei e infantili dell’Art Brut
e il gusto
satirico-caricaturistico alla
Otto Dix, tornano alla ribalta nella pittura di
artisti come
Pesce Khete e
Matías Sánchez.
André Butzer (Stoccarda, 1973;
vive a Berlino) è il fondatore del movimento dell’Espressionismo
fantascientifico, smascheramento e visione allucinata del mondo e della storia
tedesca e americana. Le opere allo Studio Visconti evidenziano la duplice
tendenza dell’artista tedesco: nelle prime due sale si trovano lavori che
esprimono un’inclinazione maggiormente sintetica, muovendosi sempre più verso
la dissoluzione della forma, quasi raggiungendo il piano dell’Informale.
Ci si trova davanti a un grumoso vomito di
olio su tela, che alterna a spatolate e colate di colore rigurgitato il
rigoroso controllo delle linee, fino a renderle un ripetitivo linguaggio, una
sequenzialità che ricorda
Giuseppe Capogrossi. Come un alfabeto
arcaico, Butzer sembra lanciare un’invocazione volontariamente ermetica,
relativa al groviglio furioso del gesto pittorico sulla tela. Esplosione
apocalittica, in queste opere dense di narrazione, si consuma la fine dei
tempi, annunciata nella caduta dei valori delle opere della terza sala.
L’impulso aggressivo di Butzer si manifesta
senza filtri, eppure non manca di geometria e controllo compositivo:
nell’insieme emerge infatti un senso di equilibrio. L’artista pare lanciare un
monito attraverso questa serie di opere, un tentativo di fermare l’impellente
distruzione, che però risulta incomprensibile e, di conseguenza, inutile.
Nella terza sala è come se si tornasse
indietro nel tempo, con i personaggi che popolano
Nasaheim prima dell’esplosione
atomico-sociale. Questa realtà immaginaria e inaccessibile è definita
dall’artista stesso come “
un luogo in cui tutta l’arte troverà la sua
attuazione, tutti i colpevoli saranno resi innocenti e gli abitanti potranno
contemplare gli strumenti di sterminio che giacciono immobili”.
Nella sua follia, il mondo contemporaneo è
ancora controllato da una sorta di ragione giudicante, impegnata a mantenere il
controllo.
Nasaheim è il luogo della vittoria dell’istinto e dell’inconscio
sulla ragione, come se esso potesse strabordare, assolutizzarsi e annientare
tutto il resto.
Un’aggressività non troppo latente,
manifestata dall’istinto di prevaricazione dell’uomo su ciò che ha intorno, è
pronta a esplodere. André Butzer chiede di correre ai ripari, ma chissà quanti
saranno in grado di cogliere il suo messaggio.