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fino al 21.VII.2006 | Gabriele Picco | Milano, Galleria Francesca Minini

di - 3 Luglio 2006

La pittura di Gabriele Picco è alla ricerca di una mediazione. Da una parte vorrebbe consegnarsi alla contemporaneità, cercando di ragionare, all’interno dell’opera, su linguaggi e contenuti attuali. Eccola allora lanciarsi in un discorso elaborato sull’architettura, sull’urbanizzazione sfrenata, sull’importanza di riconquistare delle terre franche per la collettività. Ma non solo. Che non sfugga allo spettatore la disamina sulla società informatica e le sue perversioni, esemplificata dall’omino Google, né la critica seppur velata al consumismo e alle sue leggi, data dall’attitudine a ritrarre oggetti, scarpe o quant’altro, all’ultima moda.
Dall’altro canto, però, il giovane artista bresciano cerca di rimanere ancorato alla propria fede pittorica. Di conservare un rapporto profondo ed esaustivo con la manualità, cui è intensamente legato. Il suo sogno, sembrano dire le pennellate, è che la tecnica -e le suggestioni che essa reca a chi vede- bastino a se stesse. Laddove le atmosfere surreali e romantiche di questo novello Marc Chagall (con in più una spruzzatina di sesso) prendono il sopravvento sull’imbragatura posticcia dei contenuti, l’armistizio tra arte ed autore è esaudito. Il resto è un divertissement. Lo sono la sculturina che piange lacrime di vetro, trasformate immediatamente in acquario, lo è la foto. Machiavelli elaborati per sfuggire al marchio a fuoco di “pittore” immediatamente assegnato dal mondo dell’arte (che sulla pittura vive, fingendo di disprezzarla). Sono artifici che tendono a dimostrare, con sofferenza ed un certo grado di rassegnazione, che oltre le stesure ad olio c’è di più. Tuttavia Picco riesce a raggiungere i risultati migliori proprio dove questo sforzo successivo non viene fuori. Dove il lavoro si presenta per sé stesso, senza bisogno di ulteriori elucubrazioni. Di nobilitazioni. Nelle realizzazioni in cui la pittura si dà per quello che è. Una macchina di suggestioni di un lirismo commovente, dato dal contrasto tra tinte pastello ed atmosfere livide, in cui non guastano sapide velature di ironia. Sproporzioni anatomiche, oltre che il rapporto liminale tra l’aggancio al referente d’origine e l’aria galleggiante del sogno. Con un’attenzione particolare al dettaglio e alla dimostrazione di una certa abilità tecnica. Che finalmente recupera e porta in auge quel valore assoluto della manualità, oggi tanto, ingiustamente, bistrattato.

santa nastro
mostra visitata il 31 maggio 2006


fino al 21.VII.2006
Gabriele Picco – Nuotatori di lacrime in apnea sulla fine del mondo
Francesca Minini, via Massimiano, 25 MM Lambrate (Zonaventura) – 02 26924671 – 02 21596402
info@francescaminini.itwww.francescaminini.it
Dal martedi al sabato dalle 12 alle 19.30Sabato 15 e 22 luglio 2006 la galleria rimarrà chiusa


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Visualizza commenti

  • Contemporary Italian painting sucks.
    And all you are pathetic.
    WINTER IS COMING.

    L.S.

  • Io sono stata ipnotizzata dalla fantastica scultura di picco che mi ha fatto sognare.E baricco non lo leggo! Quell'opera è magica: pesci coloratissimi e vivi che nuotano nelle lacrime di un uomo. C'è sì lo stupore, il gioco, ma anche una vena triste, ricca di suggestioni..chi si ferma allo specchietto x allodole è perchè non è capace a sognare, o non ne ha voglia, peccato per loro. jenny

  • Salve, sono una signora di Via Ventura edho 56 anni. Abito da molto tempo in questa meavigliosa via. L'altro giorno sono andata a vedere queste nuove gallerie d'arte mi han detto. E ho visto la mostra di questo Picco.
    Mi sono chiesta: ma perchè si chiama questa cosa arte? Mi sembra veramente qualche cosa di noioso, aberrante e pedante. Dov'è la novità? Qualche anno fa si trovavano delle sculturine carine carine nell'ovetto Kinder che compravo per il mio nipotino... anche Picco le conosce?
    Vuol farci tornare a comprare l'ovetto per caso?

  • vede cara gabriella, il mondo dell'arte è un mondo convulso ed autoreferenziale che nasce e muore su se stesso. E' un mercato, ma finge di essere e fare anche dell'altro: ricerca, portare avanti la cultura, progressismo, etc. E questo non è di certo vero. Perchè se questo fosse vero, si preoccuperebbe di sottoporsi anche al giudizio di persone come lei, che non conoscono l'arte contemporanea e non sono certamente obbligate a conoscerla. Il suo commento verrà quindi etichettato e stipato da chi legge nello scatolone dell'ignoranza. Lei se ne freghi: è la voce della verità, o comunque è una voce, valida come tutte le altre, che dimostra ancora una volta come l'arte non possa essere fruita se non dopo essere stata lungamente masticata e digerita e come questa non riesca ad avvicinarsi al grande pubblico. Lei, signora Gabriella, magari non sarà un target, ma rappresenta un tassello mancante su cui gli artisti, a mio modesto parere, dovrebbero riflettere.

  • Da "antimilano" convinto, trovandomi in cittá in attesa di una coincidenza aerea sono andato a vedere questa zona Ventura incuriosito da un'articolo uscito su periodico d'arte. Mi é sembrato tutto un grandissimo bluff, si parlava di questa zona come di una nuova Chelsea, di Berlino o di Amsterdam, ma ci siete stati mai in questi posti? É allucinante ingannare la gente solo perché una minima parte va poi a vedere realmente sul posto, creare gallerie "mitiche" quando poi in reltá sono assolutamente normali e in molti casi anche peggiori di tantissime altre gallerie meno blasonate (De Carlo docet). La mostra di Gabriele Picco per me non era male, é una mostra coerente che puó piacere o no (certo a conservatori e invidiosi non credo proprio). Non mi é piaciuto molto il testo di presentazione, o forse non é stato tradotto come si deve, o ancora non essendo stato scritto da un critico italiano (che scrivono di tutto meno che del lavoro, e quando poi lo fai leggere a un inglese o a un tedesco ti chiede cosa vuole dire) non sono abituato a questo tipo di testi critici. Comunque complimenti al lavoro che sta facendo Francesca Minini, lavorare con giovani (anche se giá conoscuti) offrendo un supporto di alta qualitá in Italia é una scelta coraggiosa.

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